Non c’è distillazione senza fermentazione. Ecco tutto quello che c’è da sapere di distillati e fermentati e delle loro differenze
Distillati e fermentati, le differenze
C’è fermento al bancone, luogo prediletto di chi ha qualcosa a cui brindare. E c’è una bottigliera di scelte tra distillati e fermentati: sapevate che ci sono delle differenze? È importante conoscerle e riconoscerle perché il fascino della cultura del bere sta tutta nel consumo consapevole.
Cosa si intente per fermentazione e distillazione
La fermentazione è un processo reso possibile dai lieviti: grazie a questi, lo zucchero contenuto in frutta e cereali viene trasformato in alcol etilico. I fermentati si assestano attorno ai 16 gradi alcolici: oltre questa soglia, l’alcol bloccherebbe l’azione dei lieviti e la fermentazione non avverrebbe.
Il processo di fermentazione è indispensabile per il differente processo di distillazione che consiste in una vera e propria separazione. Le bevande alcoliche fermentate diventano distillate quando vengono portate a bollore: s’innesta un processo di evaporazione provocato dal calore che porta alla separazione delle sostanze dal liquido.
I vapori vengono successivamente raffreddati e condensati –in questo modo la concentrazione dell’alcol sarà maggiore. I distillati hanno una gradazione alcolica molto più elevata rispetto ai fermentati –si aggira intorno ai 40 gradi.
Dopo questa panoramica alcolica, stringiamo l’inquadratura e passiamo ai primi piani. A questo proposito, ecco più da vicino il mondo dei distillati e dei fermentati. Scopriamo insieme quali sono i più conosciuti di entrambe le categorie.
Distillati e fermentati, le differenze: iniziamo dai distillati
Zucchero, acqua e terroir.
Non soffermiamoci alla natura chimica di un processo discontinuo e affascinante come la distillazione, ma capiamo come questo stesso procedimento sia in grado di raccontarci un territorio, che frutti produce, chi li raccoglie e com’è che fanno a diventare liquidi.
Un distillato è forse tra le massime espressioni del talento umano che ha saputo sfruttare e reinventare al meglio le materie prime dei Paesi più disparati, capendone il clima e l’andamento. Padronanza è un concetto che combacia con la parola acquavite, perché l’uomo nel frattempo è diventato sempre più esperto e capace di offrire un prodotto che si differenzia in base all’origine delle materie prime da cui proviene.
La distillazione, come dicevamo, è un meccanismo alcolico che verte tutto sulla separazione dell’acqua dall’alcol e che avviene all’interno di alambicchi. C’è la distillazione discontinua che necessita di almeno due altre distillazioni per ottenere un prodotto di qualità e c’è la distillazione continua che avviene in un particolare alambicco a due colonne.
Una piccola chicca, certamente alcolica: sapevate che il termine “quintessenza” proviene dal fatto che nell’antichità per ottenere una buona acquavite la distillazione andava ripetuta per ben cinque volte?
I distillati si classificano a seconda che provengano dai cereali o dalla frutta, dal vino, persino dal latte e dal miele.
Noi italiani ad esempio distilliamo (tantissima) grappa, ma anche brandy. E il maraschino, prodotto dalla distillazione delle ciliegie.
Quali sono le varie classificazioni dei distillati?
La classificazione vitivinicola comprende i distillati provenienti da vino e da vinaccia.
Partendo dal vino, non possiamo che citare Armagnac e Cognac, prodotti entrambi in Francia. Pare che l’Armagnac sia il più antico distillato al mondo: si tratta di un prodotto che resta volutamente di nicchia poiché la sua produzione non supera mai le 5.000.000 di bottiglie l’anno.
Proseguiamo col Brandy del quale, come dicevamo, siamo produttori insieme a Spagna, Messico, Romania e Albania. In Spagna per produrlo si utilizza molto il metodo solera che consiste nell’invecchiamento nei barili di Sherry che gli conferiscono un aroma particolare. Il cosiddetto “Brandy dei Paesi Sudamericani” è il Pisco: questo distillato è prodotto sia in Perù sia in Cile. Ci sono tuttavia delle sostanziali differenze tra i due Paesi a livello di materie prime utilizzate, produzione e invecchiamento.
Sapete quali sono i distillati da vinaccia?
Riguardo i distillati da vinaccia, la Grappa è sicuramente uno dei must del nostro Paese. Ne siamo infatti produttori esclusivi –importantissime sono le grapperie artigianali site in Piemonte. Forse meno conosciuto il distillato Bagaceira, prodotto in Portogallo e che sembra quasi competere con la nostra Grappa. Simile al nostro distillato è anche l’Orujo prodotto in Spagna e consumato principalmente in Galizia.
Distillati e fermentati: I Distillati cerealicoli
I distillati possono anche provenire dai cereali come orzo, segale, mais e frumento: in questo caso si dicono appunto cerealicoli. Vediamo se li conoscete tutti!
Ma infondo chi non conosce il Gin, l’inglesissimo distillato che in questi anni sta vivendo il suo momento di gloria nel panorama della mixology? Nota, famosa e bevuta anche la Vodka prodotta in Russia e in Polonia. Si dice che il distillato vada servito tra i 7 e gli 8 gradi –freddo ma mai ghiacciato. La vodka è poi alla base dei drink più richiesti al bancone tra cui il Bloody Mary.
Tra i distillati cerealicoli c’è anche il Jenever (o Genever) in Olanda. Come il Gin, anche il Jenever deriva dalle bacche di ginepro: pare che la sua invenzione si debba a un farmacista per scopi puramente curativi.
E poi c’è il Whisky, un distillato e concentrato di diverse sottocategorie, dal Bourbon, Corn e Rye Whiskey made in USA al Canadian Whiskey. E dall’Irish Whiskey allo Scotch Whisky. Proviene dalla distillazione di orzo e altri cereali maltati o meno. L’invecchiamento avviene in botti di legno. Tra Whisky e Whiskey ci sono tante differenze legate al metodo di produzione: non si tratta dunque di una questione linguistica.
Tra i distillati prodotti dal riso, c’è di sicuro lo zampino dell’Oriente: sono ancora poco conosciuti in Italia, ma meritano senza dubbio attenzione. Il più famoso è lo Shochu giapponese che deriva dalla distillazione di differenti materie prime tra cui zucchero di canna, patate dolci e castagne.
I distillati frutticoli
Ciliegie, mele, pere, fichi, prugne, lamponi, albicocche. Non è certo il carrello della spesa, ma la classificazione dei distillati frutticoli. Non si può non citare il Maraschino, prodotto anche in Italia ma originario della Dalmazia e derivato dai noccioli delle amarene.
Sicuramente più famosi sono i distillati di origine vegetale
Ad esempio, dall’agave si produce la Tequila, il distillato messicano alla base di uno dei dieci cocktail più bevuti al mondo: il Margarita. Sapevate che il suo nome deriva proprio dalla città di Tequila?
Dalla canna da zucchero si ricavano invece Rum, Rhum e Cachaça. La differenza tra i primi due distillati sta nel fatto che con la parola “Rum” si intendono tutte le tipologie, dai bianchi agli ambrati, mentre con “Rhum” si fa riferimento al “Rhum agriole” che viene distillato sulle isole caraibiche. La Cachaça invece è il distillato nazionale del Brasile, prodotto con la canna da zucchero (il paese è leader nella produzione mondiale di canna da zucchero).
Distillati e fermentati, le differenze: i fermentati
Le bevande fermentate sono le prime tracce alcoliche dell’uomo: pare che il primo fermentato prodotto in assoluto sia stata la birra. La fermentazione, come abbiamo già detto, è un processo che coinvolge i lieviti in assenza di ossigeno. Esempi di bevande alcoliche fermentate –oltre alla birra– sono il vino, il sidro e l’idromele.
La birra è il fermentato più antico al mondo, si ottiene dal malto d’orzo. Sembra che la sua scoperta sia stata del tutto casuale: alcuni chicchi d’orzo in una roccia incavata iniziarono a fermentare con l’acqua piovana. Un assaggio azzardato, poco gradevole, certo, ma nient’affatto indifferente. Tant’è che a distanza di migliaia di anni la birra è divenuta bevanda prerogativa di alcuni Paesi in particolare come la Germania o l’Irlanda. Fermentazione spontanea, alta (rende la birra più aromatica) e bassa (per birre più leggere) sono i tre processi alcolici che ricreano un prodotto schiumoso, corposo e dorato.
Oltre alla birra, ecco i fermentati più conosciuti
Il vino lo conosciamo bene, è ottenuto dalla fermentazione dei lieviti che si trovano sui chicchi d’uva. Nulla da aggiungere se non che la spremitura fa sì che i lieviti restino all’interno del liquido zuccherino: una volta finito l’ossigeno, i lieviti fermentano usando il glucosio a disposizione. Da qui si produce alcol.
L’idromele verrebbe da associarlo alle mele, ma bisogna togliergli una “i” perché questo fermentato proviene dal miele. È molto diffuso in Francia, specialmente nella regione della Bretagna –ancora poco in Italia. Al naso ricorda i profumi del pan brioche o di una mollica di pane, riscontrabili nei lieviti di birra.
A derivare dalla fermentazione delle mele è invece il sidro: ne vanno ghiotti (ed assetati) in Regno Unito –è il maggior produttore e consumatore al mondo. Il sidro spesso può essere ottuenuto anche dalle pere. Ad esempio in Italia lo si produce da una pera tipica del Roero, la Madernassa. Infine, sfatiamo un mito sul sake: la bevanda tradizionale del Giappone proviene dalla fermentazione del riso e non dalla sua distillazione, come molto spesso si tende a pensare. Inoltre, con il termine “sake” in Giappone si fa riferimento in generale alle bevande alcoliche e la cosa, molto spesso, confonde, perché così facendo si indica un’altra bevanda alcolica, lo shochu che invece include entrambi i processi –fermentazione e distillazione.