C’è voglia di coccole, c’è voglia di un Grasshopper. Negli Stati Uniti questo cocktail sta tornando di moda grazie al suo carattere cremoso e accogliente. Il trend è ormai conclamato ed è stato raccontato da Robert Simonson in un articolo per il New York Times.
La ragione del successo è semplice, quanto meno secondo Brian Bartels, uno dei proprietari del Settle Down Tavern (a Madison, in Wisconsin): “Penso che le persone stiano cercando di regalarsi il maggiore benessere psicologico possibile, soprattutto dopo ciò che è accaduto negli ultimi due anni“.
Il Grasshopper torna di moda negli Stati Uniti
L’ipotesi di Bartels è confermata da John Troia, fondatore della distilleria californiana Tempus Fugit Spirits: da quando è arrivato il Covid-19 le richieste di crema di menta sono cresciute del 40%.
Si tratta di uno dei tre ingredienti del Grasshopper, che si fa con parti uguali di crema di menta, crema di cacao e panna. Miscelato con sapienza è un abbraccio, preparato male è un intruglio dolciastro. È un cocktail esigente, che pretende ingredienti di primissima qualità. Forse per questo sembrava sepolto nella galleria dei ricordi dal passato: poco richiesto, poco conosciuto. Poi, appunto, è emersa potente la voglia di coccole.
Secondo Robert Simonson il trend potrebbe essere nato a New York per poi diffondersi rapidamente in tutti gli Stati Uniti e presentare agli avventori una varietà di twist. Al Cage & Tollner (Brooklyn) aggiungono vodka, all’Etérea (East Village) un goccio di mezcal, al Dante (West Village) un po’ di amaro alla menta. E poi c’è la versione con il cognac (al Jewel of the South di New Orleans) e quella con lo sciroppo di cocco (al californiano The Grasshopper).
In Italia è ancora un cocktail di nicchia
Se parliamo di mixology, la storia insegna: le tendenze d’oltreoceano guidano spesso quelle europee. Non è però scontato che sia sempre così e bisogna attendere qualche anno per verificarlo. Al momento, in Italia il Grasshopper è ancora un prodotto di nicchia.
Ne sa qualcosa Niccolò Caramiello del Norah Was Drunk, a Milano. Ne ha in carta una versione più fresca e gagliarda, che è molto apprezzata dagli avventori, ma non è la loro prima scelta in assoluto. Niccolò la prepara aggiungendo qualche goccia di fernet, un cucchiaino di gelato alla crema, un pizzico di sale e servendolo con ghiaccio tritato e un rametto di menta.
Il risultato ha una texture meno setosa ed è adatto a ogni ora del giorno, laddove il Grasshopper classico rientra pienamente nel mondo degli after dinner.
Fortuna e declino del Grasshopper
È nato infatti come drink per il dopocena. C’è un bar nel quartiere francese di New Orleans che ne rivendica la paternità: è il Tujague’s, a due passi dalle rive del Mississippi e dal museo del jazz.
Fra quelle mura si narra la leggenda di una nascita avvenuta nel 1918. Certezze non ve ne sono, ma l’ipotesi è bella e dunque la prendiamo per buona. Di sicuro, il Grasshopper conobbe la sua epoca d’oro più tardi, fra gli anni Cinquanta e Sessanta, soprattutto negli Stati Uniti del sud. Poi entrò lentamente nel dimenticatoio, fino alla riscoperta recente.
Il Grasshopper torna di moda, complici i tempi bui che stiamo vivendo e la voglia di concedersi una coccola in più del solito.
Fonte NY Times