Un viaggio nello shochu e in una delle distillerie più autentiche del distretto di Miyazaki. A raccontare le origini e le tradizioni della famiglia Watanabe, Luca Rendina, sommelier di sake e shochu, che consiglia tra i distillati di patate dolci dell’azienda di Tano, il Kuro-Koji Asahi-Mannen.
La storia della distilleria Watanabe
A sud dell’isola giapponese di Kyushu, nel distretto di Miyazaki, lungo la strada che costeggia i campi coltivati a patate dolci di Tano, si trova la storica distilleria della famiglia Watanabe. Qui lo shochu non è considerato semplicemente un distillato, ma pura tradizione liquida. Come linfa scorre nelle vene di chi, come gli stessi Watanabe da quattro generazioni, al proprio lavoro dedica la vita intera.
La storia della distilleria Watanabe risale ai primi anni dello scorso secolo. Il fondatore, dopo essere emigrato negli Stati Uniti e aver studiato e lavorato per la conservazione dei terreni boschivi americani, tornato in Giappone si stabilisce nel distretto di Miyazaki acquistando nel 1914 una vecchia distilleria in vendita. Segnata da un alternarsi di periodi di gloria e di difficoltà l’azienda, sotto il capostipite Sugaichi Watanabe, affronta un incendio devastante nel 1919. Con la tenacia e la passione tipica della sua terra quanto dei suoi residenti, inizia subito dopo un periodo di propizia ricostruzione.
Alla scoperta del kuro-koji con Watanabe
“Chi come me è entrato all’interno della proprietà della distilleria Watanabe sa che ogni gesto, compiuto per raggiungere la produzione di distillati preziosi come lo shochu, contribuisce a definire la visione del mondo contadino giapponese. Fin dai primi passi nei campi dei Watanabe si percepisce chiaro il rispetto per la natura e i suoi tempi. I due giovani fratelli, che con la madre oggi dirigono l’azienda, vivono il territorio in prima persona, come la distilleria in ogni suo spazio” spiega Luca Rendina, sommelier di shochu e sake che ha conosciuto i Watanabe 5 anni fa.
“I Watanabe sono degli agricoltori la cui tradizione è ben radicata. Coltivano e selezionano le patate dolci dei loro campi, convinti che il miglior shochu provenga proprio dalla fermentazione spontanea di quei tuberi nati seguendo solo i ritmi della natura. Tra i campi imperversano le erbacce perché i pesticidi sono banditi, i mosti vengono lavorati con le mani proprio come avveniva il secolo scorso e, il luogo in cui fermentano il riso e le patate è lasciato praticamente all’aria aperta in modo che il vento, come i lieviti, sia libero di passare e di far innescare il processo di fermentazione spontanea”, prosegue l’esperto e socio di BereGiapponese, uno dei principali importatori di shochu in Italia.
La produzione dello shochu dei Watanabe (tra cui Kuro-Koji) è rimasta immutata, tramandata di generazione in generazione come un gioiello raro e prezioso da preservare con cura. “I Watanabe utilizzano sia strumenti in bambù intagliati a mano che tecniche di ultima generazione. L’innovazione, che ha permesso di migliorare la qualità del prodotto, è presente soltanto nella cottura del riso per fare il koji ed è data da un processo lungo e paziente, fatto di attenzione e impegno, scandito dal susseguirsi delle ore”, continua Rendina.
Che cos’è il Koji
Quando si parla di saccarificazione si pensa al koji, un fungo che nasce sul riso e che serve per fermentare anche altra materia prima, come per esempio le patate a cui regala un sapore spiccatamente umami.
“Il Koji è una muffa che per proliferare ha bisogno dell’amido del riso che viene attaccato e trasformato in zucchero fermentescibile. Così alterato, il riso viene unito alle patate al fine di iniziare la fermentazione. Le patate, appena raccolte, vengono pulite parzialmente dalla terra in modo che possano sfruttare il lievito naturale contenuto nel terreno in cui sono state coltivate”, continua l’esperto di BereGiapponese.
“In questo modo parte la fermentazione che avviene in due fasi. La prima si chiama shubo ed è il momento in cui il riso, su cui è cresciuto il fungo, viene messo per 6 giorni in un tino di circa 200 litri di acqua. Successivamente parte la fase di Moromi, ovvero la fermentazione vera e propria, con l’aggiunta delle patate, che dura 10 giorni”.
Saccarificazione e fermentazione
La peculiarità degli shochu consiste nel portare nello stesso momento il prodotto sia a saccarificazione che a fermentazione. “Questo significa che nello stesso tino vi sono il fungo che mangia l’amido e lo trasforma in zucchero semplice, e il lievito che mangia lo zucchero e lo trasforma in alcol e anidride carbonica. Questo processo fa sì che alla fine della fermentazione la gradazione alcolica del liquido ricavato arrivi a circa 20°. Mentre il prodotto finale tocchi i 40°, nonostante una singola distillazione”, spiega Rendina.
Per la distillazione i Watanabe utilizzano l’acqua di un pozzo che si trova all’interno dell’azienda e che è alimentato dalla sorgente sotterranea del Monte Wanitsuka. “Nella produzione dello Shochu l’acqua è vitale e la sua qualità deve essere elevata. Quella dei Watanabe consente di produrre uno shochu dall’aroma ricco e gustoso anche grazie a una grande quantità di sali minerali”, dice il sommelier di shochu.
Il Kuro-Koji Asahi-Mannen
Chi si intende di shochu sa che solitamente il fungo koji, utilizzato per la fermentazione di questo distillato, è bianco perché deve lavorare a temperature più alte di quelle del sake. “Nel Kuro-Koji Asahi-Mannen della distilleria Watanabe, il koji usato è nero, come nella produzione dell’Awamori. Questo resiste a temperature ancora più alte donando al distillato dei sentori molto particolari. Il Kuro-Koji Asahi-Mannen è infatti uno shochu di patate dolci con koji di riso che al palato si presenta più austero degli altri. Le sue note floreali e allo stesso tempo balsamiche lasciano spazio ad accenti terrosi, di cioccolata e lievemente speziati”, conclude Luca Rendina.
Come degustare il Kuro-Koji Asahi-Mannen
Quale distillato da pasto il Kuro-Koji Asahi-Mannen viene realizzato grazie alla distillazione discontinua a pressione atmosferica e invecchiato tre anni in contenitori smaltati. Si consiglia di berlo con il ghiaccio, soprattutto in estate, oppure in inverno leggermente scaldato.
“Essendo molto trasversale, e con una gradazione alcolica pari a 25°, può essere utilizzato al posto del vermouth nel Martini cocktail. Il Kuro-Koji Asahi-Mannen possiede infatti una nota di salamoia molto particolare”, suggerisce l’esperto di BereGiapponese. Per quanto riguarda gli abbinamenti, i migliori restano quelli con piatti di pesce crudo, ostriche e verdure fresche.
Per provarlo non occorre andare fino in Giappone, ma si può ordinarlo sul sito di BereGiapponese. Mentre per vivere e conoscere nel profondo la storia della distilleria Watanabe il viaggio è necessario. Ma vale l’esperienza.
Immagini courtesy BereGiapponese
Articolo realizzato in collaborazione con BereGiapponese