I bar tiki così come li conosciamo noi in Polinesia non sono mai esistiti. Sono stati inventati in California da Ernest Raymond Gantt (1907-1989), che a un certo punto cambiò nome in Donn Beach e che nel 1933 aprì il primo di molti locali a tema polinesiano. Il Don’s Beachcomber, poi diventato Don the Beachcomber. La sua è una storia lunga e non priva di fascino.
Quando ancora Donn si chiamava Ernest
Ricostruire nel dettaglio la vita di Ernest Raymond Gantt non è semplicissimo, soprattutto i suoi primi decenni di vita. È un periodo che ha raccontato quasi solo lui, tra un’intervista e l’altra. Solo che amava infiocchettare i fatti: talvolta restandovi sostanzialmente fedele, talaltra esagerando con la fantasia.
Per esempio, c’è chi dubita seriamente che da giovane abbia vissuto nelle isole del Pacifico Meridionale, nonostante l’abbia affermato. Di sicuro ha navigato in quelle acque nei suoi vent’anni. Ma, appunto, è cosa diversa dal viverci.
Ernest nasce nel 1907, forse a New Orleans, forse a Limestone County, in Texas. È un dettaglio discusso, anche se la versione più accreditata ne fa un texano doc. In ogni caso, in Texas ci cresce ed era certamente lì all’età di tre anni.
Da adolescente fa qualche lavoretto, mette via un gruzzolo e a 22 anni decide di vedere il mondo. A un certo punto lo troviamo impiegato a bordo di uno yacht che punta la prua in direzione delle Hawaii, prosegue per la Polinesia e alla fine giunge a Sydney, in Australia. Secondo i suoi racconti (sempre da prendere con le pinze) è stato in Giamaica, a Tahiti e in Papua Nuova Guinea.
Don the Beachcomber, parentesi hollywoodiana
Di lui si perdono le tracce fino all’inizio degli anni Trenta, quando lo troviamo a Los Angeles. Lavora per l’industria del cinema hollywoodiano, dove fa il consulente per gli scenografi che devono ricostruire ambientazioni tipiche del Pacifico Meridionale. È entrato nel giro grazie al fratello Hugh, che già bazzicava i set.
Ernest sostiene di avere collaborato con John Ford, uno dei giganti della storia del cinema, ma di questa cosa non c’è traccia: probabilmente ha infiocchettato un po’. Il suo nome compare però come technical advisor per Charlie Chan e il denaro che scotta (di Terry O. Morse) e per La casbah di Honolulu (di John H. Auer).
Solo che i due film in questione sono più tardi: il primo del 1946 e il secondo del 1954. In questo momento non aveva certo bisogno di essere presentato a chicchessia: a Hollywood già lo conoscevano tutti per merito del Don the Beachcomber.
Dunque, la carriera cinematografica dev’essere stata, all’inizio, decisamente periferica. Ma deve avergli procurato abbastanza risparmi per aprire un locale tutto suo. Non molti, ma quanto basta.
La nascita del Don’s Beachcomber
L’anno fatidico è il 1933, quello in cui termina il Proibizionismo. Ernest individua un piccolo spazio al 1722 di North McCadden Place, a uno sputo dal Chinese Theatre (storica sala cinematografica) e vicino al quartiere di Hollywood.
Il budget per la ristrutturazione è praticamente inesistente. Gran parte degli arredi sono recuperati dai cantieri navali cittadini (leggenda vuole che siano stati rubati). Il resto viene dalla piccola collezione che Ernest ha raccolto quando era marinaio e da alcuni scarti di set cinematografici. L’insegna è scritta a mano: il bar si chiama Don’s Beachcomber. C’è posto per due dozzine di persone e si servono drink a base rum, perché il rum costa poco.
L’idea di Ernest è richiamare l’immaginario polinesiano a beneficio di persone che in Polinesia non ci sono mai state e magari hanno visto quelle isole solo al cinema. Niente di simile esiste veramente, da quelle parti, ma poco importa. Il suo motto è: “Se non puoi andare in paradiso, lo porto io da te“. È il seme originario dello stile tiki.
E qui sorgono le polemiche: non subito, perché ai tempi la sensibilità era diversa, ma nei decenni successivi sì. A conti fatti, l’intera tiki culture, dunque non solo quella che origina da Ernest Gantt, può essere letta come una nostalgia coloniale e un’appropriazione culturale. Sono definizioni effettivamente utilizzate dalle voci più critiche. Ma questa è un’altra storia.
L’esplosione del Don the Beachcomber
Tornando al signor Gantt, lui è l’anima del bar: racconta aneddoti, prepara cocktail, ne inventa una quantità. Ad esempio il Cobra’s Fang, il Beachcomber’s Gold, il Navy Grog e naturalmente lo Zombie, una bomba alcolica che arrivava agli avventori con un avvertimento: meglio non berne più di due nella stessa serata. Ernest Gantt si vanta anche di avere creato il Mai Tai, ma quest’affermazione è controversa.
In ogni caso, si identifica talmente tanto con il proprio bar da iniziare a farsi chiamare Don the Beachcomber. In un secondo momento cambierà legalmente nome, assumendo quello di Donn Beach.
Il successo montante esplode grazie a due cose. La prima accade una sera, quando un avventore entra nel locale. Si chiama Neil Vanderbilt, è vestito in maniera elegante e ordina un drink. Poi un secondo e un terzo. Sentenzia che non beveva così bene da anni e decide di tornare con gli amici.
Siccome scrive per il New York Tribune ed è parecchio immanicato, alcuni conoscenti sono pezzi da novanta. Per esempio Charlie Chaplin. E se in un bar c’è lui, allora ci saranno altre star di Hollywood. Presto David Niven e Marlene Dietrich diventano degli habitué. Capita spesso di vedere pure Bing Crosby, Clark Gable e Vivien Leigh.
Cora Irene Sund
Il secondo fatto importante, per il successo, ha un nome e un cognome: Cora Irene Sund, prima moglie di Ernest/Donn e sua partner in affari anche dopo il divorzio (nel 1940). È lei che spinge perché il bar si trasferisca dall’altra parte della strada, in un posto più grande, dove aggiungere un ristorante.
Gli arredi sono più curati, ma sempre in stile. I piatti serviti sono presentati come esotici, ma il grosso è derivato dalla tradizione cantonese. C’è un cambio di nome: da Don’s Beachcomber a Don the Beachcomber. E il successo continua. Non solo: il format ormai c’è e non resta che replicarlo. Così nascono le prime succursali in altre città degli Stati Uniti.
Poi scoppia la guerra…
Allo scoppio della seconda guerra mondiale Donn Beach entra in aeronautica. Durante l’attacco di un U-boat tedesco rimane ferito e viene mandato nelle retrovie, a curarsi. In prima linea non ci torna più, perché inizia a gestire gli edifici utilizzati dagli ufficiali come ospedali e centri di svago. Lo fa a Capri, Venezia, Sorrento, a Nizza, Cannes e insomma non se la passa male.
Tornato a casa trova gli affari in uno stato ottimale. Cora Irene Sund è un’imprenditrice di razza e l’ha dimostrato, anche in un periodo difficile come quello bellico.
… e alla fine giunge la morte
Donn Beach si trasferisce alle Hawaii, apre nuove attività, si sposa altre due volte. Nel tempo libero prende il largo a bordo della sua imbarcazione. Si costruisce una casa galleggiante e tenta senza successo di farne il prototipo per abitazioni sull’acqua da affittare alle persone.
Per alcuni anni vive a Moorea, un’isola della Polinesia Francese. Poi gli viene un cancro al fegato e muore nel 1989, all’età di 82 anni, portandosi dietro una quantità di aneddoti e lasciando un’eredità ancora oggi solidissima.
Immagini courtesy Tim “Swanky” Glazner