Identificare i 10 libri di mixology più importanti di sempre non è facile. Alcuni titoli sono irrinunciabili ed è scontato nominarli. Ma il loro numero non è sufficiente per arrivare a dieci. Ecco quindi i grattacapi, le scelte dolorose, le omissioni discutibili. E alla fine un elenco, in ordine rigorosamente cronologico.
Bar-Tender’s Guide (1862)
È stato scritto da Jerry Thomas ed è conosciuto anche con il titolo How to Mix Drinks or The Bon-Vivant’s Companion. È un faro irrinunciabile per chiunque studi l’arte della mixology. La ragione è presto detta: si tratta del primo libro pubblicato negli Stati Uniti a essere esplicitamente dedicato ai cocktail. In precedenza le ricette erano tramandate oralmente, con inevitabili imprecisioni: Thomas dà loro una forma definitiva, indicando proporzioni e metodi di lavorazione, e aggiungendo pure una chiara distinzione fra le categorie di cocktail e i principi base di ognuna di esse. Ciliegina sulla torta: le ricette di alcuni drink di sua invenzione.
Libri di mixology: New and Improved Bartender’s Manual (1882)
L’autore si chiama Harry Johnson e il libro è noto anche come How to Mix Drinks in the Present Style. Vi compaiono drink originali e soprattutto le prime ricette scritte di cocktail ormai considerati classici: per esempio una versione del Martini. L’aspetto forse più interessante è però un altro: per la prima volta un manuale di mixology dedica spazio a come diventare un bravo bartender e a come gestire al meglio un locale.
Harry’s ABC of Mixing Cocktails (1921)
Forse pubblicato nel 1919 (impossibile avere certezze), è stato scritto dallo scozzese Harry MacElhone e ha un titolo alternativo (Harry of Ciro’s ABC of Mixing Cocktails) che ne rivendica la paternità e indica il luogo di nascita: il Ciro’s Club di Londra. Sfogliando le sue pagine troviamo una serie di ricette, con tanto di informazioni storiche, e una prefazione nella quale MacElhone spiega come formare al meglio il personale di un bar. L’indicazione di base è fare in modo che i dipendenti siano soddisfatti dei compensi e dell’esperienza lavorativa nel suo complesso, perché in questo modo il successo di un locale sarà assicurato.
Libri di mixology: The Savoy Cocktail Book (1930)
Arrivato dagli USA a Londra durante il Proibizionismo, Harry Craddock diventa il bartender dell’American Bar dell’Hotel Savoy. Qui sforna ricette come non ci fosse un domani e, su invito del management dell’albergo, ne seleziona poco più di 750 da mettere nero su bianco. Nasce così uno dei libri più famosi al mondo, vendutissimo e preziosa fonte di informazioni. Curiosità: il successo del manuale non frutterà al suo autore nemmeno un centesimo, per ragioni contrattuali.
The Fine Art of Mixing Drinks (1948)
Grazie a questo testo David Embury è diventato il non professionista più influente nella storia della mixology. Merito di una scrittura briosa, che abbraccia volentieri punti di vista polarizzanti e che non risparmia frecciatine qua e là. Insomma, l’esatto contrario di un classico ricettario, rigoroso ma un po’ asettico. Non mancano indicazioni tecniche, come per esempio la distinzione dei drink in due famiglie fondamentali (aromatici e sour) e la suddivisione degli ingredienti in tre categorie: base alcolica, modifying agent e l’accoppiata composta dagli special flavoring e dai coloring agents.
Libri di mixology: The Craft of the Cocktail (2002)
Oltre a essere un bartender sopraffino, lo statunitense Dale DeGroff è considerato uno straordinario divulgatore. Da qui l’importanza di The Craft of the Cocktail, che elenca centinaia di ricette, fornisce suggerimenti su come preparare al meglio alcuni grandi drink e aggiunge pure dettagli sulla loro storia ed evoluzione. Il successo è giunto di conseguenza: una marea di copie vendute e premi importanti conquistati.
The Joy of Mixology (2003)
È il volume più significativo fra quelli scritti dal britannico Gary Regan. E lo è perché esce in un momento fondamentale, per la storia della mixology: quello in cui la cocktail renaissance rimodella il mondo dei drink miscelati, riportando professionalità e serietà dietro i banconi dei bar. Il testo di Regan mette sugli allori standard consolidati e di livello, contribuendo ad elevare una professione che, a partire dal secondo dopoguerra, era stata affrontata in maniera sempre più raffazzonata e cialtrona.
Imbibe! (2007)
David Wondrich svetta incontrastato nell’Olimpo degli storici della mixology, e il suo Imbibe! è considerato una lettura indispensabile. Vi si trovano un sentito omaggio al papà della miscelazione alcolica, cioè Jerry Thomas, e una quantità di dettagli relativi alla storia dei cocktail classici (oltre alle ricette, ovviamente). Piuttosto che la prima edizione del 2007, molti consigliano quella del 2015: perché notevolmente ampliata e ancora più ricca di spigolature.
Libri di mixology: The Drunken Botanist (2013)
Il giudizio largamente condiviso è che Amy Stewart scrive in maniera fluida e divertente. Dettaglio che rende succoso il suo racconto di come sono fatti liquori e acquaviti, con particolare attenzione alle erbe, ai fiori, ai frutti, ai funghi e alle piante che ne rappresentano la materia prima. Ci sono nozioni di biologia, chimica, storia, etimologia e ovviamente mixology. Senza che la lettura diventi pesante o iper tecnica, e anzi fornendo nuove lenti per guardare cocktail già noti.
Cocktail Codex (2018)
Dopo tanti ricettari, ha ancora senso scriverne un altro? La risposta è sì, a patto che a firmarlo siano gli espertissimi Alex Day, Nick Fauchald e David Kaplan. Il loro approccio è originale e interessantissimo: identificano sei template di cocktail che racchiudono tutti i drink esistenti. Poi li analizzano nel dettaglio, spiegando come e perché i vari ingredienti interagiscono, e come la preparazione influenza il risultato finale. Una volta compreso in quale caso shakerare e in quale mescolare, e avendo capito se e come sostituire un ingrediente, l’arte della mixology non avrà più segreti.