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Che cos’è l’Awamori, il distillato più antico del Giappone

Da bere on the rocks, oppure con aggiunta di soda o succo di agrumi. Prodotto esclusivamente nella prefettura di Okinawa: ecco cosa dovete sapere dell’Awamori

Iniziamo questa news con un bel “Kanpai!”.

E che dire, lunga vita all’Awamori, che alcuni definiscono il sakè del posto, prodotto solo ed esclusivamente nella prefettura di Okinawa (dove si contano più o meno una quarantina di distillerie).

Il distillato giapponese più antico, dall’aspetto trasparente ma indelebile

La tradizione vuole che il distillato debba essere bevuto da un unico bicchiere, sorso dopo sorso e soprattutto un sorso a testa. Una gran bella bevuta collettiva, una catena alcolica momentaneamente sospesa vista la situazione di emergenza che stiamo affrontando.

Ci auguriamo che gli abitanti di Okinawa possano ripristinare questa bellissima tradizione quanto prima.

Si parla tanto di shochu, tantissimo di sakè ma dell’Awamori, un distillato che più invecchia e più e buono non se ne parla mai: l’invecchiamento può raggiungere persino i 100 anni.

Come si produce l’Awamori?

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L’Awamori ha alla base un ingrediente molto sdoganato nel mondo orientale: chiaramente il riso. Il distillato di Okinawa si produce impiegandone una tipologia in particolare, il riso Indica di origine thailandese (è un riso a grani lunghi, per intenderci non è né il Carnaroli né il Basmati).

Da decreto, l’Awamaori può essere prodotto solo ed esclusivamente ad Okinawa. Sappiamo bene che il processo di distillazione sia sempre preceduto da una fase di fermentazione che vede, per la produzione dell’Awamori in particolare, l’impiego del fungo koji nero, che agisce da lievito durante il processo.

Tanto per fare un paragone, per il Sohochu è utilizzato invece il koji bianco. Pare che anticamente l’Awamori si producesse con il miglio ed è proprio il pezzettino “awa” della parola Awamori, a fornircene un indizio. “Awa” però significa anche “bolla”, quasi a ricollegarsi al processo di distillazione che è assolutamente necessario.

Tale metodo raggiunse Okinawa intorno al 1600, arrivando, indovinate un po’?, proprio dalla Thailandia.

E soprattutto: come si beve l’Awamori?

L’Awamori mostra una gradazione alcolica pari al 30%. In Giappone si è soliti consumare il “sakè del posto” allungandolo con acqua -fredda o calda- oppure “on the rocks” con ghiaccio –trattamento riservato soprattutto durante le feste.

Si tratta di un distillato piuttosto poliedrico perché lo si può gustare in tantissimi modi: con soda, con succo di agrumi (molto utilizzato è il succo di shequasar, agrumi del posto) e persino mescolato a o caffè.

Inglesi e italiani, non mettetevi le mani nei capelli: dopotutto, noi correggiamo il caffè persino con la grappa. L’impiego del distillato Awamori si estende persino al mondo food, dove è utilizzato alla base di condimenti piccanti.

Insomma dove possiamo berlo?

Certamente in Giappone, dov’è facile reperirlo un po’ ovunque, negli izakaya, nei konbini (minimarket aperti 24 ore su 24) e nei supermercati.

Qui in Italia dobbiamo sperare in qualche buon locale giapponese che abbia una buona selezione di fermentati come il sakè e pertanto magari anche di distillati tradizionali.

Ps. Pare che l’abbinamento più azzeccato per l’Awamori sia il cioccolato. Mica male!