Carioca nell’anima e cosmopolita per vocazione, la cachaça è lo spirito nazionale del Brasile. Valgano, per presentarla, le parole di David Wondrich, eminente storico dei cocktail e delle bevande alcoliche. “È uno dei più interessanti distillati al mondo. È un liquore ricco e corposo, ma non privo di sottigliezza e persino di grazia“.
Cos’è la cachaça
La definizione tecnica di cachaça è presto detta: si tratta di un’acquavite aromatica prodotta dalla distillazione del mosto fermentato di succo di canna da zucchero. Ha una gradazione alcolica compresa fra i 38 e i 54 abv e può trascorrere del tempo in botti di legno prima dell’imbottigliamento.
Ma veniamo alla definizione, per così dire, spirituale. La cachaça è per il Brasile ciò che la grappa è per l’Italia, il bourbon per gli Stati Uniti, o il tequila per il Messico. Racconta un mondo, una popolazione, una storia.
La storia della cachaça
In quest’ultimo caso parliamo di una tradizione che affonda le radici molto indietro nel tempo. Per la precisione nel XVI secolo, nell’anno 1532. È in questo momento che i colonizzatori portoghesidecidono di trasferire la produzione di liquore di canna da zucchero dall’isola di Madeira al Brasile. Gli alambicchi attraversano l’oceano atlantico, la canna da zucchero viene coltivata da zero, le piantagioni estese e il liquore così prodotto cambia nome: da aguardiente de cana a cachaça.
Oggi la cachaça è prodotta in ogni angolo del Brasile e i distillatori si contano a decine di migliaia. I luoghi di maggior prestigio sono però cinque: i comuni di Salinas, Chã Grande, Paraty, Monte Alegre do Sul e Abaíra.
Come si produce
Nel corso dei secoli la lavorazione si è raffinata, ma è rimasta sostanzialmente invariata. Il punto di partenza è appunto la canna da zucchero, che viene schiacciata in modo da ottenerne il succo. Seguono cottura e aggiunta di lieviti selezionati, per avviare la fermentazione.
Il passaggio successivo è la distillazione, che può essere continua o discontinua. Chi vuole può anche farla doppia, ma non è obbligatorio. Il disciplinare brasiliano consente inoltre l’aggiunta di zucchero o di caramello, per ammorbidire il sapore e scurire il liquido.
Branca o amarela?
Esistono due macro categorie di cachaça. La prima è quella branca, chiamata anche prata, clássica o tradicional (oppure, in inglese, white o silver). La seconda è quella amarela, a sua volta suddivisa in base a caratteristiche che diremo fra poco.
Cachaça branca
La cachaça branca è quella che viene imbottigliata subito dopo la distillazione, oppure in seguito a un periodo di riposo in vasche d’acciaio o in botti di legno che non rilasciano colore e che poco influenzano il gusto (ad esempio jequitiba e freijo).
Cachaça amarela
La cachaça amarela prevede invece l’affinamento in legno che rilascia colore, e che modifica sensibilmente il profilo aromatico. Avremo la sottovarietà gold se almeno il 50% di ciò che troviamo in bottiglia ha trascorso in botte 2-12 mesi. Avremo una premium se il 100% è stato in contatto con il legno per un periodo compreso tra uno e tre anni. Se superiamo i tre anni allora parliamo di extra-premium. Capita infine di trovare in vendita la special reserve: è un’amarela invecchiata 2-3 anni in botti di legno europeo.
Come si degusta
La maggior parte della produzione di cachaça è consumata all’interno dei confini brasiliani e ciò che viene esportato non è sempre il meglio del meglio. Di solito la troviamo come ingrediente di cocktail più o meno da battaglia. Se di buon livello, però, regala ottimi drink. La Caipirinha su tutti, ma anche twist piuttosto interessanti: per esempio il Leite de onça, un Alexander con la cachaça al posto del brandy o del gin. Ma anche un Brazilian Mojito o un Brazilian Sunrise.
Di fronte a una cachaça di qualità possiamo permetterci una degustazione simile a quella che riserveremmo a un rum agricolo, con il quale condivide più di una caratteristica. Dunque va bevuta liscia, con eventuale acqua fresca a parte, apprezzandone la notevole varietà organolettica.