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Chi era Harry Craddock?

Harry Craddock (1876-1963) è una colonna portante nella storia della mixology. Un ruolo dovuto non tanto a un cocktail, quanto piuttosto a un libro: The Savoy Cocktail Book, pubblicato per la prima volta nel 1930. Testo che gli regalò fama imperitura, ma che non gli fruttò un centesimo.

Harry Craddock, inventore di cocktail e scrittore di libri

Che poi, di drink ne ha inventati una quantità: lui stesso si vantava di avere creato 240 ricette. Leggenda vuole che un giorno ne abbia improvvisate tre originali, a esclusivo beneficio di un fortunato giornalista. Infine, senza Craddock non avremmo il White Lady, e tanto basta per renderlo simpatico.

Resta però il fatto che ancora oggi si parla di lui grazie al The Savoy Cocktail Book, una miscellanea di ricette che è diventata un punto di riferimento imprescindibile.

Gary Regan, anche lui bartender, ha sentenziato: “È probabilmente il più importante libro di cocktail di tutto il XX secolo. Semplicemente perché ha consentito di preservare molte vecchie ricette che si sarebbero perse nei rivoli della storia, se lui non le avesse messe nero su bianco per noi“.

Un inglese con un debole per gli Stati Uniti

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Nonostante alcune fonti sostengano sia nato negli Stati Uniti, in realtà Harry Craddock era inglese: la sua casa natale si trova nella cittadina di Stroud, nella contea di Gloucestershire, circa 160 chilometri a ovest di Londra.

A 22 anni attraversa l’Atlantico e sbarca nel nuovo mondo, dove affina l’arte della mixology dietro il bancone di alcuni locali, a New York come a Chicago. Diventa cittadino statunitense nel 1918 e, a furia di chiacchierare con la gente del posto, perde un po’ dell’accento inglese e acquisisce la cadenza americana: dettaglio che gli tornerà molto utile in seguito.

Il ritorno in Inghilterra

Nel 1920 si ritrova senza lavoro a causa del Proibizionismo. Non fa una piega: il giorno immediatamente successivo all’introduzione dei divieti si imbarca per l’Inghilterra. Prima, però serve l’ultimo cocktail legale.

O meglio: sostiene di averlo servito lui, sempre un po’ in bilico fra la spacconeria e l’entusiasmo. Probabilmente molti altri colleghi potrebbero vantare il medesimo primato. Lui però l’ha gridato più forte di altri.

In ogni caso, giunto in Inghilterra fa tappa a Liverpool, Bristol e infine giunge a Londra. Qui l’accento statunitense gli offre su un piatto d’argento l’occasione della vita. La leggendaria Ada Coleman ha deciso di appendere lo shaker al chiodo e all’American Bar dell’Hotel Savoy si libera un posto di prestigio: quello di capo barman.

L’apice della carriera di Harry Craddock: l’American Bar

Il management dell’hotel vorrebbe assumere uno statunitense, anche perché la caratteristica del posto sta nel fatto di servire i cocktail americani. Una corrispondenza fra menù e primo bartender ha una logica commerciale.

Ora: tecnicamente, Harry Craddock è nato in Inghilterra. Però ha la cittadinanza giusta, l’accento giusto e l’esperienza che serve. Il contratto viene firmato: è il 1925. Craddock seleziona spiriti, miscela cocktail, intrattiene clienti comuni e celebrità. Non mancano membri della famiglia reale, politici e stelle del cinema del calibro di Ava Gardner, Charlie Chaplin, Errol Flynn e Vivien Leigh.

Così la fama dell’American Bar si mantiene altissima. E quella di Craddock cresce a dismisura, permettendogli di rivelarsi un ottimo comunicatore di sé stesso. Cura i rapporti con la stampa e non perde occasione di far sapere che la mixology ha massima legittimità e lui ne è un esponente di primissimo piano.

È anche protagonista di curiose iniziative promozionali. La più originale prevede di nascondere fialette dei suoi cocktail preferiti nei muri dei bar che l’hanno visto protagonista. Nel 1927 ne mura una di White Lady all’interno dell’American Bar: non è mai stata ritrovata.

The Savoy Cocktail Book

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Entro la fine del 1928 il menù dell’American Bar conta qualcosa come duemila ricette diverse. Un patrimonio che il management del Savoy Hotel decide di sfruttare, proponendo a Harry Craddock di operare un’ampia sintesi e firmare un manuale.

Ne nascerà il leggendario The Savoy Cocktail Book, che non frutterà al suo autore nemmeno un penny. Poco male. Del resto, nell’introduzione Craddock scrive che “gli scrittori non vengono mai pagati. Comunque, siamo così ricchi che non ci importa, anche se dovesse costarci milioni”. E poi, un testo come il suo “non esisteva” ed “era un dovere scriverlo”. Contenti tutti, insomma.

Harry Craddock verso la pensione

Il resto della vita scorre veloce, ma densa. Nel 1934 fonda insieme a William J. Tarling la United Kingdom Bartenders’ Guild (UKGB), una delle sette associazioni nazionali che darà vita alla International Bartenders Association (IBA).

Nel 1938 lascia il bancone dell’American Bar e approda al prestigioso Dorchester, esclusivo hotel a est di Hyde Park (Londra). L’edificio ha fama di essere solidissimo e durante la seconda guerra mondiale viene scelto come rifugio di lusso da personalità di primissimo piano. Così Harry Craddock miscela drink per celebrità varie, compresa la futura regina Elisabetta II e il generale Dwight D. Eisenhower, che ne aveva fatto il suo quartier generale.

Dopo un ulteriore trasferimento, presso il Brown’s Hotel di Mayfair, nel 1947 decide che è tempo di andare in pensione. Si ritira nella sua abitazione di Kensington, a un tiro di schioppo dai grandi bar che l’hanno visto protagonista, e muore qualche anno più tardi, nell’inverno del 1963.