Realizzati con la tecnica del fat washing, ecco due drink che in realtà sono carne allo stato liquido
La sete è carnivora. Le nuove frontiere della mixology scoppiettano come un barbecue americano: per la carne esiste anche uno stato liquido perché dopotutto, tra griglie e piatti, è rimasta stesa (e comoda) un po’ troppo a lungo. Adesso nuota e va deglutita, vuole farsi notare ed essere riconosciuta a colpo –o meglio- a sorso sicuro.
Lo avreste mai detto che negli States il brindisi lo fanno col filetto?
O con la bistecca. Dipende da cosa preparano al bancone. Non del macellaio ma del bartender (certo non vegetariano) che si innova e che insaporisce il suo stesso mestiere con una nuova tendenza azzardata, si, ma assolutamente collaudata –un colpo secco filtrato in un bicchiere, unito a un distillato, perché certi sapori devono essere complici: il gusto della carne si combina con l’alcol che gli fa un po’ da macinata di pepe, quella quasi obbligatoria, simbiotica, necessaria.
Che cos’è il fat washing?
Si chiama fat washing la nuova tecnica che consiste nell’introduzione di grassi animali e vegetali all’interno della bevanda alcolica: vengono mixati e successivamente separati attraverso congelamento. E’ virtuosismo. Ma letteralmente significa lavaggio dei grassi.
La cottura della carne è azzeccata al punto che la tendenza del food and beverage è arrivata anche nel nostro Paese: sulle tavole di Monza, al bistrot Bove Lover. Tagli di carne pregiati dietro i quali c’è il macellaio Angelo Raselli che però oltre che a disossare scava alla ricerca del più tipico possibile e del pezzo che ancora non è stato servito.
Filetti e fiorentine vanno a braccetto con una drink list più che azzeccata dove nessun sapore scavalca nessuno –non serve essere atletici, ai sapori basta affiancarsi. I drink sono arricchiti con grasso animale, alla faccia di chi lo scarta. Una sorta di effetto placebo che trova spazio nelle (belle e indispensabili) sensazioni della fame e della sete: il fat washing permetterà di percepire il sapore del grasso animale nel cocktail senza però berlo davvero. Un’illusione che disseta e che non ci fa poi strizzare gli occhi: la carne si può bere, è tutto vero sebbene insolito.
Quando il fat washing è protagonista della drink list
La drink list è curata dal bartender Toel Colombo: gagliardo, avventuroso, innanzitutto esperto. Una sorta di scienziato che al posto di alambicchi e provette ha bar spoon, strainer e…carne. Da Bove Lover la mixology fa pensare di poterla quasi prendere con la forchetta –ma poi ci si ricrede e si torna al solito bicchiere. L’insolito è tutt’al più il suo contenuto, avanguardia liquida, sapori che saremmo tentati a masticare.
Noi di Coqtail Milano ne sappiamo qualcosa e ci teniamo a farvela sapere -ecco due cocktail esclusivi preparati con la tecnica d’oltreoceano fat washing:
Good Manners
Whisky Caol Ila 12, Bulleit rye, amaro Strega, Averna, angostura e fat washing bacon. Un drink affumicato. Potrà suonare come un’american breakfast o come un cheeseburger ma il bacon da bere è assolutamente un signorino. Una fetta è elegantemente adagiata sul bordo del bicchiere che contiene una miscela ambrata che vorrebbe dire tante cose. A stare a galla è anche una scorzetta d’arancia. E’ azzeccato il rinforzo con l’angostura, un bitter aromatico la cui parola chiave è persistenza. Il Good Manners è davvero una buona maniera –la prima per approcciare alla nuova frontiera del nuovo, carnivorissimo trend.
Guatemalteco T Panch
Il drink ricorda gli gnocchi burro e salvia ma il sorso non è pastoso o giocherellone sul palato. La base alcolica è data dallo Zacapa Solera 23, c’è la sorprendente freschezza del succo di lime fresco che contrasta piacevolmente con il burro introdotto nel drink attraverso la tecnica del fat washing. Bis di angostura anche per la seconda proposta di cocktail all’avanguardia. Ultimato con foglie di salvia, il Guatemalteco T Panch si beve senza alcuna nostalgia nei confronti di quel piatto di gnocchi proprio perché ne soddisfa a pieno la somiglianza. Chapeau. Anzi, bis!