David Embury (1886-1960) i cocktail non li faceva: li beveva. I bar non li gestiva: li frequentava. Eppure ha scritto un libro di enorme importanza per il mondo del bere miscelato. Si intitola The Fine Art of Mixing Drinks ed è stato pubblicato nel 1948. Grazie ad esso, Embury è diventato il non professionista più influente nella storia della mixology. Mica male. Peccato avesse convinzioni politiche un po’ così: ne parleremo fra poco.
David Embury, chi era costui?
David Augustus Embury è un newyorkese doc: nel senso dello stato di New York, non della città. Nasce a Pine Woods il 3 novembre 1886 e muore 73 anni più tardi e 215 miglia più a sud, presso New Rochelle, con vista su Long Island.
Si laurea alla Cornell University, per un breve periodo insegna al liceo, poi entra alla Columbia Law School e diventa avvocato. Specializzazione: questioni legate al fisco. Durante gli studi si unisce a un paio di fratellanze e nel corso degli anni fa carriera all’interno dell’associazione nazionale che riunisce tutti i gruppi maschili dei college statunitensi.
Dal novembre 1946 al novembre 1947 è presidente della National Interfraternity Conference. Un ruolo che fornisce un megafono alla sua voce e una piattaforma pubblica dalla quale farsi sentire. Lui utilizza questo privilegio maluccio, criticando apertamente le lotte per combattere la segregazione razziale.
È quasi bizzarro scriverlo nero su bianco, ma la fortuna di David Embury è che inizia a bere. È infatti la passione per la mixology a forgiare la sua futura memoria. Una passione che nel 1948 prende la forma del libro The Fine Art of Mixing Drinks.
The Fine Art of Mixing Drinks
La prima edizione, quella del 1948, è un autentico tesoro per collezionisti, con copie oggi vendute a centinaia di dollari. Molti studiosi l’hanno letta senza dover sborsare una fortuna, approfittando delle biblioteche statunitensi, e tutti ne hanno parlato con toni entusiasti.
La marcia in più di The Fine Art of Mixing Drinks è che non si tratta di un manuale “tecnico”, preoccupato soprattutto di fornire istruzioni semplici, chiare, rigorose, un po’ asettiche. Quella di Embury è la voce di un bevitore competente, che ci tiene a farci conoscere la sua opinione sui cocktail e ha la lingua piuttosto affilata nei confronti di ciò che non gli piace.
Il risultato è che offre un sacco di spunti di ragionamento, fornendo punti di vista magari perentori, però argomentati e dai quali è possibile distanziarsi solo adottando solide controargomentazioni. Insomma, la personalità ingombrante di David Embury marca la differenza tra un elenco di informazioni un po’ sterile (per quanto utile) e un racconto variegato e stratificato. Per questo il suo libro piace, sin dall’inizio, e per questo è apprezzato ancora oggi.
Il libro di David Embury
Al di là di ciò, The Fine Art of Mixing Drinks si fa notare per la distinzione dei cocktail in due famiglie (aromatici e sour), per l’esaltazione degli ingredienti di qualità e per la suddivisione di questi ultimi in tre categorie:
- la base alcolica, cioè la componente principale di un drink (di solito un singolo spirito, sia esso rum, whiskey o gin)
- il modifying agent, cioè quello che conferisce al cocktail la sua personalità e nel contempo smussa le asperità della base
- gli special flavoring e i coloring agents, che devono essere utilizzati con la massima parsimonia
Per chiudere, ecco i sei cocktail fondamentali secondo David Embury: Daiquiri, Jack Rose, Manhattan, Martini, Old Fashioned e Sidecar.
Immagine di copertina, ritratto della Cocktail Kingdom Library