Se in Giappone la cucina non si mangia soltanto ma si guarda, i distillati di questo meraviglioso Paese non si bevono e basta, si vivono. A partire dai luoghi in cui nascono, le distillerie giapponesi. Questo è il viaggio di Luca Rendina, co-fondatore di BereGiapponese e docente della Scuola Italiana Sake, alla scoperta di un Giappone inedito lungo le vie dello shochu e dell’awamori, tra antico e moderno.
Le migliori distillerie giapponesi, viaggio tra shochu e awamori
“Il Giappone regala emozioni che partono dal passato per avanzare nella contemporaneità più innovativa”, spiega il co-fondatore di BereGiapponese e ambasciatore dei distillati nipponici in Italia. A rappresentarlo due distillati storici, un viaggio tra shochu e l’awamori realizzati in luoghi che, per storia e tradizioni, hanno vissuto per secoli come stati autonomi. Il viaggio di Luca Rendina si divide tra l’isola di Kyūshū e quella di Okinawa e, come una guida esperta, conduce di distilleria in distilleria per raccontarne le origini e i segreti.
Distillerie giapponesi, Kodama Jouzou LLC
La visita parte dalla città di Nichinan della prefettura di Miyazaki. Esattamente all’interno del quartiere Obi, conosciuto come la “Piccola Kyoto di Kyūshū”, si trova la distilleria Kodama Jouzou LLC la prima azienda di questo viaggio tra shochu e awamori. Incontrare Junpei Kanemaru significa conoscere uno dei distillatori di shochu più rivoluzionari del Giappone. Il tempo per Junpei si è fermato al fiorente Periodo Edo, tra il 1600 e la metà del 1800, quando sotto lo shogunato di Tokugawa, l’economia e la cultura giapponese si svilupparono notevolmente.
“Il suo shochu è fatto alla vecchia maniera. Evitando i macchinari moderni viene realizzato totalmente a mano. La distilleria fondata nel 1818 ha come motto ‘fermentare con sincerità’ e Junpei Kanemaru, discendente da cinque generazioni di produttori di shochu, che lo seguono alla lettera queste parole. Il suo shochu di patate dolci, contrariamente a quanto ci si aspetti, è delicato e premia il naso e le papille gustative con sottili note tropicali”, continua Rendina.
Gli shochu da provare dell’azienda Kodama Jouzou LLC
Tre sono gli shochu che rappresentano per Luca Rendina la distilleria di Kanemaru. “Per BereGiapponese ho portato in Italia Hanadori – Honkaku, un pregiato shochu di patate ottenuto, eliminate le teste, dalle prime gocce prodotte dalla distillazione. Queste donano profumi e aromi straordinari sia durante la bevuta liscia che con ghiaccio. Un altro shochu da provare è Toji Junpei Genshu. Realizzato con patate dolci, varietà Miyazaki Beni, più il Koji di riso Toji Junpei Genshu è il prodotto simbolo della cantina. Maturando in recipienti speciali, assorbe con il tempo le caratteristiche di ogni stagione conferendo al palato numerose sfumature di sapore. A chi piace l’orzo proponiamo il Jun no Jun ottenuto attraverso una distillazione discontinua a pressione atmosferica”, svela Rendina.
Distillerie giapponesi, Yanagita
Miyazaki è una delle principali prefetture per la produzione di shochu e la distilleria Yanagita è una tappa fondamentale per chi, come Luca Rendina, è a caccia dei distillati migliori. Gioiello antico della città di Miyakonojo, la distilleria di Tadashi Yanagita, produce shochu premium in modo artigianale dal 1902. “Tadashi, erede della quinta generazione, è alla guida dell’azienda da diversi anni. Ex ingegnere votato alla distilleria di famiglia, ha costruito e migliorato gran parte dei macchinari, personalizzando gli alambicchi che creano delle vere e proprie opere d’arte alcoliche dalle note corpose quanto leggere e aromatiche”, rivela Rendina.
La distilleria, specializzata nello shochu d’orzo, esporta tramite BereGiapponese, The Yanagita Sakurako, realizzato tramite distillazione di solo orzo distico, invecchiato in legno mizunara, il delicatissimo Natsuno Akakage, distillato giovane e con una gradazione alcolica più bassa, e Aokage, uno shochu profumato e corposo, che trasmette il sapore dell’orzo distico regalando sul finale un gusto di cacao inconfondibile.
La Distilleria Watanabe
Proseguendo nel viaggio all’interno della prefettura di Miyazaki un altro luogo sacro per lo shochu da visitare è la distilleria Watanabe la cui filosofia si fonda sulla realizzazione di “una fermentazione nell’ambiente”. Oggi Koichiro Watanabe, alla quarta generazione, è un giovane distillatore che, insieme al fratello e alla madre, si occupa direttamente di ogni dettaglio dell’azienda. In particolare, la pulizia quotidiana delle patate dolci appena raccolte. Ogni tubero viene pulito e sbucciato, preservando però qualche piccola parte di terriccio che, per tradizione, dona letteralmente quel sapore naturale al distillato, conferendogli notevole profondità e ricchezza.
“La famiglia Watanabe lavora solo prodotti bio utilizzando strumenti realizzati con bambù raccolto localmente. Tutto per preservare, durante la fermentazione e la distillazione, il sapore unico e ricco del loro raccolto. Ricordo che le porte della distilleria vengono tenute aperte per lunghi periodi per consentire ai tini di respirare l’aria esterna e al distillando di preservare il suo delicato equilibrio”, prosegue il co-fondatore di BereGiapponese. Per l’Italia, Rendina insieme al suo socio Federico Medici, tra i diversi distillati dell’azienda, importa Kuro Kouji Asahi Mannen, uno shochu di patate dolci realizzato con koji nero di riso che ben presenta la tradizione dei distillati da pasto dell’isola di Kyūshū.
Distillerie giapponesi, Kuroki Honten
Kuroki Hoten produce shochu dal 1885 ed è una meta da tenere in considerazione. “Questa famiglia è considerata una vera pioniera nel settore poiché si dedica all’arte della produzione dello shochu da secoli. All’interno delle proprie fattorie biologiche i Kuroku usano l’acqua sotterranea proveniente dal fiume Omaru che dona ai loro prodotti agricoli un gusto particolare. Ogni shochu poi conserva il vero carattere degli ingredienti di base e quei tipici sapori del terreno che lo rendono ricercato nel mondo”, dice Rendina che per BereGiapponese fa giungere in Italia Kiroku, lo shochu di patate dolci di varietà Kogane sengan unite al lievito Kamejikomi. Oppure un particolarissimo shochu d’orzo, Hyakunen No Kodoku, letteralmente Cento anni di solitudine. Un di prodotto leggendario che, di altissima qualità e invecchiato tre anni in botti di legno, veniva consumato proprio dall’imperatore del Giappone.
La Distilleria Ochiai
Anche per la distilleria Ochai la produzione di Shochu avviene da più di un secolo. Ochiai è considerata, infatti, una delle perle della regione sud-occidentale della città di Miyazaki che meritano la sosta. La famiglia Ochiai, arrivata alla quarta generazione, realizza lo shochu di patate dolci Imo coltivate con il metodo di coltura da sovescio, pratica agricola che rendere più fertile il terreno. Il risultato è uno shochu è morbido e dal gusto profondo.
“Dal 2004 Ochiai produce anche uno shochu di orzo e zenzero, saccarificato con un koji di riso. Si chiama Ginger e, soprattutto con il nuovo imbottigliamento, viene assimilato sempre di più al famoso distillato di ginepro, il gin, e utilizzato anche in mixology”, continua Luca Rendina. Un altro prodotto della distilleria è Piment, lo shochu che sa e profuma di peperoni fermentati per preservare i sapori primari, poi distillati con metodo discontinuo a pressione atmosferica con orzo distico e koji di riso. “Le note intense delle Solanacee hanno premiato Piment con la Medaglia Rossa del The Wine Hunter Merano”, racconta Rendina che ne consiglia l’assaggio prima di lasciare Miyazaki per proseguire il viaggio verso altre prefetture a sud dell’isola di Kyūshū.
Distillerie giapponesi: Komaki
Il territorio e i suoi frutti segnano e identificano come una firma indelebile il gusto dello shochu. Le ultime visite di Luca Rendina proseguono verso la distilleria Komaki che, all’interno della prefettura di Kagoshima, attinge all’acqua del fiume Sendai fin dal 1909. “Attualmente la distilleria è gestita da Kazunori e da suo fratello Isekichi che sono rispettivamente presidente e master distiller. Tra i loro migliori distillati c’è Beni Komaki, shochu davvero originale che viene realizzato con patate rosse della varietà Satsuma, normalmente destinate all’alimentazione. Medaglia d’Oro The Wine Hunter Merano 2019 questo distillato è indicato anche in miscelazione”, prosegue l’esperto.
La Distilleria Rokuchoshi
L’ultima distilleria di shochu del tour è la Rokuchoshi della Prefettura Kumamoto. Michito Ikebe, quarta generazione, accoglie nella sua distilleria raccontando la storia della sua famiglia, intenditori di shochu da un secolo. “La ricerca della perfezione riposta nelle tecniche di conservazione è uno dei segni distintivi dell’azienda che, per evitare l’esposizione a temperature e umidità elevate i propri prodotti, soprattutto nei mesi estivi, dispongono di magazzini coibentati e climatizzati, dove la temperatura è controllata 24 ore su 24, con condizioni simili a quelle delle Highlands scozzesi. Tanto che il loro Shochu può competere con i migliori spirits del mondo”, continua Rendina. Da assaggiare Kodaiikko, lo shochu di riso invecchiato in legno. Un’edizione limitata e numerata, realizzata utilizzando una miscela di shochu di tre annate diverse, quella del 1990, 2006 e 2007, lasciata poi riposare con le medesime modalità tipiche dello scotch.
Distillerie giapponesi, Yamakawa
Il viaggio si conclude nell’isola di Okinawa. Dove? All’interno della distilleria Yamakawa, famosa per il suo awamori, tutti distillati realizzati principalmente con ingredienti coltivati all’interno della stessa azienda. “La distilleria Yamakawa è conosciuta come quella del ‘vecchio awamori’ . Il nome si deve all’impegno e alla grande cura nel produrlo. Nella cantina i distillati vecchi e antichi riposano dai 20 fino ai 100 anni. Per questo motivo l’awamori Yamakawa, prodotto utilizzando l’acqua delle montagne circostanti, è riconosciuto in tutto il mondo come un’opera d’arte alcolica dal tipico gusto morbido e aromatico”, sostiene Luca Rendina.
Tra gli awamori della distilleria c’è da segnalare Sangosho Black. “È un distillato unico che ricorda piacevoli sentori di umami. Dal bouquet delicato, al palato si mostra persistente con una leggera nota sapida che richiama le note del fungo shiitake, in contrasto con quelle del miele, entrambi godibili sul finale”, conclude l’esperto di BereGiapponese che chiude il suo viaggio in Giappone con un bagaglio ricco di spunti e ricordi ma, soprattutto, di ottimi shochu e awamori.
Immagini courtesy BereGiapponese
Articolo realizzato in collaborazione con Beregiapponese