Il colore ambrato del ratafià brilla dal bicchiere, mentre il profumo e il gusto intensi di frutta matura riempiono l’aria, per poi scorrere lentamente, goccia a goccia, fino alle labbra. Questo liquore antico ha diverse zone di produzione, che sussurrano storie di conventi medievali, accordi sigillati e tradizioni gelosamente custodite.
Il ratafià, per lungo tempo relegato agli scaffali polverosi delle origini della liquoristica, oggi sta vivendo una rinascita inaspettata. Dalle colline della Champagne alle valli del Piemonte fino al centro Italia, dalle coste della Normandia alle montagne della Catalogna, cattura l’attenzione di bartender e appassionati in cerca di sapori autentici e complessi.
Flavio Angiolillo e il ratafià, un ponte che collega passato e presente
L’essenza del ratafià si svela come un viaggio attraverso i secoli. Infatti, è un caleidoscopio di ricette regionali che sfidano ogni tentativo di categorizzazione rigida. È qui che risiede il suo fascino, nella sua capacità di essere molteplici cose allo stesso tempo: un aperitivo, un digestivo, un ingrediente per i cocktail, un compagno ideale per piatti a base di formaggi. Assaggiarlo porta all’incontro tra frutta e alcol che danno vita a una sinfonia di sapori tanto varia e intrigante. «Questo è ciò che ho provato al primo assaggio», rivela Flavio Angiolillo, imprenditore e mixologist che prosegue: «È un ponte tra passato e presente che oggi trova una nuova vita nei bar più innovativi».
L’etimologia del nome ratafià è oggetto di dibattito tra gli studiosi. Le ipotesi più accreditate lo collegano al latino Pax Rata Fiat (che la pace sia ratificata) o ut rata fiat (affinché sia ratificato), riferendosi all’usanza di suggellare accordi con un brindisi. Questa origine conferisce al liquore un’aura solenne. Quando si parla della sua produzione, in assenza di un disciplinare europeo comune, va detto che il ratafià si esprime in una molteplicità di versioni regionali.
Il ratafià dall’Italia alla Spagna, passando per la Francia
In Italia, troviamo quello piemontese Pat (Prodotto Agroalimentare Tradizionale). «Nello studio condotto da Giorgio Nisoli e Federico Altamura, esperti di spirits, sono state mappate diverse varietà nel mondo. In Piemonte è prodotto con mosto d’uva rossa e brandy, aromatizzato con ciliegie e spezie. Nel centro-sud, il ratafià ciociaro e quello abruzzese vedono protagoniste le amarene, macerate in vini locali come il Cesanese del Piglio Docg o l’Atina Doc Cabernet», continua Angiolillo che, di origini francesi, ha esplorato diverse zone del suo Paese per raggiungere le migliori cantine.
«La Francia, terra delle Aoc, vanta una ricca tradizione. Il Ratafia de Champagne, con una gradazione tra i 16 e i 22 gradi, matura da 10 mesi a 3 anni. Il Pineau des Charentes nella regione del Cognac, il Floc de Gascogne e il Macvin del Jura seguono processi simili. Particolare menzione merita il Pommeau de Normandie, che unisce mosto di mele e Calvados». Ma il viaggio del ratafià non si ferma qui. Prosegue in Spagna, dove la tradizione catalana lo fa risalire ai monasteri medievali. Qui, le noci verdi raccolte al solstizio d’estate vengono macerate in alcol con erbe e spezie locali.
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