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Rigenerazioni urbane, il design di Fulvia Parodi

L’effimero l’affascina. La concretezza l’attrae. La sfida la conquista. Perché Fulvia Parodi ama progettare, ristrutturare e rigenerare. Ridando fiato ai luoghi, per poi nutrirli con un cibo che è materia, immaginario e aria di casa.

Disegnare gli spazi dell’ospitalità, l’esperienza di Fulvia Parodi

«Non amo molto gli spazi asettici. Mi piace invece plasmare zone di comfort», spiega Fulvia Parodi. Millesimo 1993, radici tuffate in quella Bari che se ne sta in equilibrio fra antiche mura, lungomare e focaccia con i pomodorini, e una laurea all’Istituto Europeo di Design di Milano, con una tesi sulla scenografia degli eventi. A seguire? Un lavoro in una galleria d’arte, un periodo nello studio di architettura di Giorgia Longoni e persino un intermezzo come ristoratrice.

Dopo aver concesso nuova vita alla Bettolina di Gaggiano, secentesca cascina andata in rovina. «Un’esperienza che mi ha formata a tutto tondo. Perché è lì che ho compreso le criticità di un locale: dalle distanze fino alla gestione dei flussi», continua lei. Ora alla regia di un progetto tutto suo, in tandem con il collega Luca Artieri: Effimero Studio. «Ci piaceva il concetto di effimero come essenza dell’esistenza. Lo avevo colto in un passaggio di Gio Ponti a proposito del teatro». Intanto? Insieme hanno ripensato tre insegne “meneghine”.

Maka Loft, mixology e ristorazione

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Interni di Maka Loft, ristorante e speakeasy

Maka Loft, in via Valtellina, è stata la nostra carta bianca. Uno spazio industriale immenso, in ferro e cemento. Un deposito abbandonato, nell’ex Scalo ferroviario Farini. Qui l’errore da evitare era dare l’idea di uno stanzone vuoto, da esercito, nel quale sentirsi soli. «Perciò abbiamo cercato di riqualificare, movimentare e vivificare il luogo, partendo dal bancone centrale, monolitico e monumentale, fulcro del locale. Protagonista sia della proposta mixology che di quella ristorativa. Un bancone “circolare”, pronto a funzionare su tutti i lati. Completamente in acciaio: un materiale che tutto riflette. Un metallo che è presente senza essere eccessivamente invadente», racconta lei. Felice di aver rianimato una sede popolata da un’onirica selva di solenni colonne.

«Per interrompere l’imponente altezza e per ammorbidire il contesto, abbiamo posizionato una tenda esattamente sopra il bancone». Un iconema rosso e mosso, che fa da refrain, incorniciando un habitat ritmato da conviviali tavoli in legno. A incarnare un elemento di continuità con la pugliese insegna sorella: quel Cala Maka di Torre Canne tuffato nel Brindisino. Dove impera la natura. Fiera di invadere con garbo anche lo spazio metropolitano, grazie a una serie di piante, ospitate in grandi vasche scavate nel cemento.

Gesto, tre locali in uno

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Sala privata Gesto, Milano

Differente la storia di Gesto, che in Porta Venezia esprime il suo forte legame con l’arte e la musica. Un’insegna già esistente ma desiderosa di rinnovare la sua veste, evolvendo. Un miglioramento ribadito già nel claim: Better then Before.

«Qui era necessario fare un twist, tendendo un filo col passato e mantenendo il sentimento del luogo: disinvolto, alla mano e confortevole. Ma al tempo stesso mettendo un maggiore accento sugli aspetti culinari ed esperienziali», precisa Fulvia. Che ridisegna uno spazio già raccolto e avvolgente, valorizzando l’heritage architettonico degli archi, ma giocando anche sull’eclettismo e sul piacere di passare da una stanza all’altra, da un’ambientazione all’altra, da un mondo all’altro, quasi ci si trovasse dentro una matrioska.

«All’ingresso si trova la zona ristorante, pulita e minimalista, fatta di pareti in cemento scaldate da luci soft, sedute imbottite in testa di moro, tavoli dai ripiani in legno e un bancone che diventa estensione della cucina.

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Immagini credits ­­­­­­di Vittorio La Fata