“Quando sei dietro un bancone, la cosa più importante che puoi fare non sono i drink: è fare in modo che le persone sorridano“. Parole di Gary Regan (1951-2019), uno che poteva permettersi di non riservare la massima attenzione ai cocktail perché, in quel campo, era un maestro assoluto.
Insieme a Dale DeGroff, Regan ha posto le basi della cocktail renaissance e ne è stato un punto di riferimento autorevolissimo. Ha creato un bitter tutto suo, scritto diciotto libri, vinto premi, girato il mondo insegnando l’arte della mixology. Soprattutto, non ha mai dimenticato l’importanza di un sorriso.
Il sorriso di Gary Regan
Il suo signature cocktail lo dimostra in modo lampante. Non era una ricetta nuova o un twist particolarmente ingegnoso. Era un Negroni, un classico fra i classici a base di gin, vermouth e Campari, più una scorza d’arancia.
Aveva un tocco in più, una cosa che nessun altro poteva permettersi di fare. Nel 2014 raccontò: “Giusto per divertirmi ho iniziato a mescolarlo con il dito e tutti ridevano, così ho continuato a farlo. Ci ho messo un po’ a capire perché era una bella idea. Faceva comparire un sorriso sul volto di tutti“. E, come dirà due anni più tardi: “Se un cliente esce dal tuo bar più felice di quando è entrato, allora hai cambiato il mondo“.
Quando il sorriso diventa sbronza
Chiunque abbia lavorato dietro il bancone di un bar sa che il sorriso di una persona ha un potenziale lato oscuro: la sbronza del cliente molesto. Gary Regan è stato uno dei pochi bartender a parlare apertamente del problema. Non solo dicendo la sua su come affrontare la situazione (“Devi sempre cercare di allentare la tensione, anche se questo implica perdere la faccia“), ma affrontando di petto l’alcolismo suo e dei colleghi.
Regan ha ammesso di avere trascorso gli anni Ottanta in uno stato perennemente alterato dai fumi dell’alcol. Poi ha saputo darsi una regolata, ben conscio che “i bartender hanno sempre bevuto molto” e che “è importante che ne parliamo“. Il rischio di alzare il gomito, insomma, può far parte del mestiere. Bisogna saperlo e prenderci le misure, così da evitare il peggio.
Tutto è iniziato nel pub di famiglia
Probabilmente Gary Regan ha scoperto fin da giovane i dolori delle sbronze altrui. Era nato a Rochdale, borgo della contea di Greater Manchester, il 18 settembre 1951. I suoi genitori avevano un pub e a partire dai quattordici anni ha iniziato a lavorarci.
Era già un tipo gioviale, espansivo, con una personalità forte. Vestiva seguendo lo stile mod anni ’60 e suonava la batteria in una band chiama The Sons of Adam. Insomma, a scuola era popolarissimo. Almeno fino a quando l’ha frequentata, cioè fino ai quindici anni.
Liberato dagli obblighi di studio, Gary Regan ha utilizzato il tempo guadagnato per imparare a cucinare e per sposarsi. Il primo di tre matrimoni non supera il traguardo dei due anni e, per dare una svolta alla propria vita, nel 1973 Gary emigra a New York.
Gli Stati Uniti, una seconda patria
Si stabilisce a Manhattan, dove diventa famoso per la sterminata cultura sui whisky, in particolare quelli sconosciuti ai più, e per le storielle divertenti che racconta (l’importanza del sorriso, ancora una volta). Quando diventa manager del North Star inizia a preparare personalmente gli sciroppi e i succhi da miscelare nei cocktail, diventando un pioniere di quelli che negli States sono etichettati come “craft cocktail“.
La fama cresce, l’autorevolezza pure, l’alcolismo è tenuto sotto controllo e così, all’inizio degli anni Novanta, Gary Regan inizia a scrivere di mixology. Collabora con i magazine FoodArts, Wine Enthusiast, Food & Wine e con il San Francisco Chronicle. Il primo dei suoi diciotto libri viene pubblicato nel 1991: si intitola 1001 Mixed Drinks and Everything You Need to Know.
I libri di Gary Regan
Di tutte le sue pubblicazioni, quattro spiccano per importanza. La prima è The Book of Bourbon and Other Fine American Whiskeys (1995): narra le origini socioculturali e i metodi di distillazione dello spirito americano per eccellenza. Un testo fondamentale per nutrire la nascente cocktail revolution.
Martini Companion: A Connoisseur’s Guide (1997) mette sugli allori uno dei drink di cui più si è scritto, riuscendo a raccontarlo con un taglio originale e tutto suo. Vi si legge che “preparare un Martini di prim’ordine è un atto d’amore; devi mostrare un po’ di rispetto. Mescolare un Martini è un esercizio contemplativo che richiede grande concentrazione”.
Nello stesso anno del Martini Companion esce anche New Classic Cocktails, testo piuttosto importante nei primi tempi della cocktail renaissance.
Forse il suo libro più importante esce nel 2003. Si intitola The Joy of Mixology ed è una sorta di compendio di tutto quel che c’è da sapere sul lavoro del bartender. Con un taglio che all’epoca era quasi rivoluzionario, perché puntava a elevare la professione, fornendole standard consolidati e di livello. Anche per questo è diventato una lettura indispensabile per tutti coloro che hanno partecipato al movimento dei cocktail artigianali.
La seconda vita: Gary Regan diventa Gaz Regan
Nel 2003 gli viene diagnosticato un cancro della lingua: si sottopone a un intervento chirurgico e a sedute di radioterapia. Non riesce più a farsi crescere la folta barba che l’aveva caratterizzato per tanti anni: opta per un mini pizzetto e i capelli lunghi, e decide di adottare il soprannome Gaz. Talvolta mette l’eyeliner sotto un occhio, per ricordare a sé stesso e ai colleghi che bisogna sempre guardare i clienti negli occhi. Ancora una volta è importante per ottenere sorrisi.
Continua a lavorare, scrivere, insegnare. Muore il 15 novembre 2019, nell’ospedale della cittadina di Newburgh (New York State), a causa di una polmonite e di complicazioni legate alla sua malattia. Aveva 68 anni. Molto ben spesi.