Una manciata di decenni fa la grappa era un paria fra gli alcolici. Godeva di scarsa considerazione, poca fama e talvolta era di qualità discutibile. Si usava per correggere il caffè, un trattamento che quasi nessuno avrebbe riservato al cognac o al whisky.
Già allora, però, tutti gli elementi della futura grandezza erano presenti ed è ormai assodato che il distillato italiano per eccellenza ha le carte in regola per rivaleggiare con la nobiltà estera. Merito di abili e lungimiranti distillatori, che hanno elevato il loro prodotto e in un secondo momento hanno conquistato riconoscimenti prestigiosi a livello mondiale. Tutto bene, insomma, ma cos’è esattamente la grappa?
Cos’è la grappa
Per cominciare, parliamo di un distillato. Il materiale di partenza sono vinacce e vinaccioli, vale a dire ciò che rimane degli acini d’uva dopo che è stata spremuta per fare il vino. Le vinacce sono le bucce, i vinaccioli i semi.
Non facciamoci ingannare dal fatto che il succo è stato già prelevato. Una vinaccia molto spremuta mantiene profumi e sapori, di conseguenza è perfetta per una grappa di livello. Con un accorgimento: se vogliamo produrne una morbida, allora è bene che la materia prima sia stata spremuta il meno possibile.
Ulteriore elemento da tenere presente: per puntare alla massima qualità è opportuno eliminare i vinaccioli, e a maggior ragione i raspi.
Ciò detto, se la distillazione riguarda una singola varietà di vinaccia, allora avremo a una grappa di monovitigno. Se invece parte da un blend, si parlerà di grappa plurivitigno. Una distinzione che nulla dice della qualità, ma solamente della materia prima utilizzata.
Dove si produce
Una legge della Comunità Europea ha stabilito che la grappa è una “indicazione geografica protetta” e che può essere prodotta esclusivamente in Italia. Unica eccezione è il Cantone dei Grigioni, territorio appartenente alla Svizzera in cui la lingua italiana è quella ufficiale.
Se dunque è sufficiente essere in Italia e non c’è limite al tipo di uva utilizzato, allora la grappa può essere distillata in tutto lo Stivale. Tradizioni secolari hanno però evidenziato che si tratta di un prodotto tipico soprattutto dell’Italia settentrionale.
Da qui la legge che identifica la denominazione di grappa regionale: consentita per le aree geografiche di Piemonte, Lombardia, Trentino, Friuli, Veneto, Alto Adige e per quell’area del Piemonte in cui si produce il vino Barolo. A queste zone si aggiungono quelle di Sicilia e di Marsala.
Come si produce la grappa
Una volta selezionate le vinacce, occorre sottoporle a fermentazione: a meno che questo passaggio non sia già stato compiuto, cosa che può accadere con la lavorazione di alcuni vini rossi.
La fermentazione è caratteristica fondamentale, che consente di distinguere la grappa dall’acquavite d’uva (distillato di mosto) e dal brandy (distillato di vino). Dopo la fermentazione si passa alla distillazione, che può avvenire con metodo continuo o discontinuo: il secondo consente una migliore estrazione di sapori e aromi.
A questo punto può essere subito imbottigliata, oppure trascorrere un periodo di affinamento in legno. Mettiamo per un momento tra parentesi questo aspetto per dire che la legge impone un contenuto alcolico non inferiore a 37,5: si può raggiungere aggiungendo acqua.
Affinamento in botte
Sull’etichetta compaiono termini utili a orientarsi. Se c’è scritto “giovane” significa che la grappa è stata imbottigliata subito dopo la distillazione, senza fare un passaggio in botte.
La definizione “invecchiata” è riservata a quella che ha trascorso almeno dodici mesi a contatto con il legno, mentre parliamo di “riserva” o “stravecchia” se sono passati almeno diciotto mesi.
La dicitura “barricata” o “barrique” si riferisce infine a quella che ha fatto almeno metà dell’affinamento in botti piccole (le barrique, appunto).
L’effetto del legno
Va da sé che il tipo di legnoinfluenza colore e sapore. In linea di massima, quelli chiari rilasciano poco colore e lavorano su note organolettiche delicate: è il caso del ciliegio. Invece il rovere ha un impatto più forte, in termini visivi e gustativi.
Fra l’una e l’altra possibilità ci sono numerose vie di mezzo e c’è anche chi ha sperimentato blend di grappe affinate in legni diversi. Ultimo dettaglio: la legge italiana consente il ricorso allo zucchero caramellato per arrotondare il profilo gustativo.
Procedimento che va sotto il nome di edulcorazione e scurisce il liquido. Dunque può essere utilizzato per suggerire lunghi affinamenti in legno che in realtà non sono avvenuti. Insomma, tutto bene se una stravecchia è edulcorata. Ma se una grappa priva di indicazioni sull’affinamento ha un colore scuro, allora siamo di fronte a una pratica potenzialmente ingannevole.
Aromatica e aromatizzata
Ci sono poi due aggettivi che non sono relativi all’invecchiamento. Una grappa è aromatica se è ottenuta, appunto, da uve aromatiche: per esempio Malvasia o Moscato. È invece aromatizzata se sono stati aggiunti aromatizzanti naturali (erbe, frutta, eccetera). Queste due specificazioni possono ovviamente coesistere con quelle relative all’affinamento, ad esempio nel caso di una barrique aromatica.
Come degustare la grappa
In barba a un passato non sempre glorioso, ma ormai lontano, oggi la grappa è un distillato di prima qualità e merita di essere gustato di conseguenza. Intanto, evitando di annacquarla con il ghiaccio. Se lo desiderate potete servirla fresca, soprattutto se è giovane, ma comunque non sotto i 10 gradi centigradi. Il freddo è nemico dei sapori e dei profumi, perché tende a comprimerli e nasconderli. L’impegno profuso dai distillatori merita di essere premiato da assaggi adeguati.
L’ideale è avere a disposizione dei bicchieri tulipe (che ricordano un tulipano). Se ci apprestiamo a gustare una stravecchia vanno bene anche i balloon. In entrambi i casi, la forma è adatta a esaltare i profumi. Dettaglio tutt’altro che secondario, tenendo conto del fatto che una buona grappa la riconosciamo perché al naso è ricca ed elegante, e non aggredisce i sensi con volgarotte sferzate d’alcol.
Si confermano infine le accortezze valide per tutti i distillati: sorsate brevi, distribuzione del liquido su tutta la lingua, attenzione ai piccoli dettagli organolettici. E, fra un sorso e l’altro, un po’ d’acqua per limitare l’assuefazione della bocca.