Ladies and gentlemen giù il cappello, perché Jerry Thomas (1830-1885) è una leggenda assoluta. Senza di lui, oggi non berremmo cocktail come siamo abituati a fare. Non solo: il suo libro (Bar-Tender’s Guide, 1862) ha influenzato tutti i ricettari pubblicati nei decenni a seguire. Non a caso gli storici lo considero il padre della mixology. Un’autorevolezza di cui godette già in vita, come testimonia il soprannome datogli dai colleghi: “Professore”.
Chi era Jerry Thomas
Jeremiah P. Thomas, detto Jerry, nasce il 30 ottobre 1830 a Sackets Harbor, paesino che si affaccia sul lago Ontario e si trova nella parte settentrionale dello stato di New York. Dei genitori si sa poco o niente, dell’infanzia pure. Ciò che conta, in termini di storia dei drink, è che a un certo punto lo troviamo a New Haven, in Connecticut. Come ci è arrivato, chi lo sa. Però è qui che impara i rudimenti della miscelazione, anche se resta un mistero chi sia stato a insegnarglieli.
Poi inizia la corsa all’oro, in California, e il giovane Jerry si trasferisce in loco: cerca pepite pure lui, ma lavora anche come bartender e manager di minstrel show (spettacoli di varietà interpretati da bianchi in blackface). Nel 1851 attraversa il continente e giunge a New York City. Da questo momento in avanti la sua attenzione è totalmente assorbita dal lavoro dietro il bancone di un bar: è l’inizio del trionfo.
L’affermazione
Jerry Thomas apre il suo primo locale al piano terra del Barnum’s American Museum. I clienti non tardano ad arrivare e gli affari prendono la giusta direzione. A conti fatti, la “città che non dorme mai” gli sta spalancando le porte e lui potrebbe mettervi radici. Invece opta per il nomadismo lavorativo.
Negli anni successivi attraversa gli Stati Uniti: Saint Louis, Chicago, San Francisco, New Orleans, Charleston, Virginia City. Già che c’è fa una capatina in Europa. I viaggi lo tengono impegnato per qualche anno. È difficile sapere quanti con esattezza, ma parliamo di circa una quindicina.
A metà degli anni Sessanta del XIX secolo torna infatti a New York e trova subito lavoro come capo bartender presso l’hotel Metropolitan. Nel 1866 si getta nella gestione di un locale tutto suo e inizia a raccogliere gli abbondanti frutti della sua fama. Una celebrità nutrita anche grazie al libro Bar-Tender’s Guide.
Bar-Tender’s Guide
Pubblicato nel 1862 e conosciuto anche con il titolo How to Mix Drinks or The Bon-Vivant’s Companion, Bar-Tender’s Guide è il primo libro pubblicato negli Stati Uniti a essere esplicitamente dedicato ai cocktail. Vi si trovano le ricette dei drink nati nei primi anni della mixology e che fino a quel momento erano state tramandate solo per via orale (con tutte le imprecisioni del caso).
Thomas le scrive indicando chiaramente le proporzioni e il tipo di lavorazione, e in questo modo dando loro una forma definitiva e autorevole. Aggiunge anche una chiara distinzione fra le categorie di cocktail, i principi base di ognuna di esse e pure alcuni drink di sua invenzione.
Bar-Tender’s Guide verrà aggiornata e ripubblicata due volte, una nel 1876 e una nel 1887: alcuni sostengono con il diretto coinvolgimento di Thomas, altri per sola iniziativa dell’editore. In ogni caso, il ricettario diventa unpunto di riferimento irrinunciabile, più volte imitato nei decenni successivi.
Fonti storiche suggeriscono che Jerry Thomas abbia scritto un secondo testo, nel 1863. Esistono pure alcune recensioni a stampa, ma del libro non c’è traccia. L’ipotesi che va per la maggiore è che non sia stato pubblicato e che le recensioni si basassero su bozze fatte arrivare in anteprima ai giornalisti. Se mai saltasse fuori, rappresenterebbe un tesoro.
Il Blue Blazer
Facciamo un piccolo salto indietro nel tempo: Thomas è ancora un giramondo e lavora presso il bar dell’El Dorado, a San Francisco. È qui che mette a punto il suo signature cocktail, il Blue Blazer. La ricetta è elementare: scotch whisky e un po’ d’acqua bollente. La preparazione è spettacolare ed è figlia della mania di Thomas per i numeri acrobatici, quelli che in un secondo momento avrebbero nutrito lo stile flair.
Si tratta di incendiare l’alcol e poi farlo passare da una tazza all’altra, tenendole ben distanti e in questo modo dando l’impressione di un “flusso continuo di fuoco liquido” (così è descritto in Bar-Tender’s Guide). Dopo quattro o cinque passaggi di questo tipo, il drink veniva servito con l’aggiunta di un cucchiaino di zucchero e una scorza di limone.
Gli ultimi anni di Jerry Thomas
Torniamo a New York: Thomas è famosissimo, il suo libro fa scuola e tutto sembra andare per il meglio. Inizia a collezionare opere d’arte e a frequentare la vita notturna cittadina. Viaggia parecchio e questa volta non per lavorare, ma per concedersi meritate vacanze. Si sposa e ha due figlie.
Un giorno decide di investire denaro, ma Wall Street si rivela un passo falso: investimenti sbagliati lo riempiono di debiti ed è costretto a vendere il suo bar e la sua collezione d’arte. Riapre un nuovo locale, ma senza riconquistare la fortuna di un tempo. Il 15 dicembre 1885, all’età di 55 anni, un ictus lo uccide.
Il suo corpo viene sepolto nel Woodlawn Cemetery del Bronx e i giornali di tutti gli Stati Uniti scrivono necrologi colmi d’ammirazione per quanto fatto in vita. Grazie a uno di questi si scopre che, quando lavorava all’Occidental Hotel di San Francisco, guadagnava cento dollari a settimana: più del vice presidente degli Stati Uniti.
Anche senza quel denaro, Jerry Thomas avrebbe comunque marchiato a fuoco la storia della mixology: ancora oggi è celebrato per aver dato un contributo senza pari all’arte dei cocktail.