Bere meno, bere meglio: alcuni indicatori economici suggeriscono che il mercato italiano dedicato agli champagne stia andando in questa direzione. Si parla di premiumizzazione: il termine è bruttino, ma sintetizza bene la questione e dunque lo teniamo.
Maida Mercuri, esperta di bollicine
Gusti linguistici a parte, parlando con Maida Mercuri è facile scoprire che la situazione ha tratti contraddittori, ma c’è ragione di guardarla con ottimismo. Maida è autorevole, vulcanica, appassionata: ha cominciato a studiare il vino nel 1979 («a bere molto prima») e «ai tempi sono stata la più giovane sommelier professionista».
Ha lavorato ad altissimi livelli, degustato il meglio del meglio ed è stata importatrice di récoltant manipulant, cioè gli champagne dei produttori che lavorano esclusivamente le loro uve, senza comprarle da altri viticoltori. Ha insomma uno sguardo privilegiato sul mondo degli spumanti francesi.
Comité Champagne, l’Italia beve meno ma meglio
Prima di ascoltare le sue parole, allarghiamo per un momento lo sguardo. Secondo il Comité Champagne, nel 2023 l’Italia ha importato circa 10 milioni di bottiglie: il 6,8% in meno rispetto all’anno precedente. Però il valore in euro ha fatto segnare un +7,2%. Ora, è vero che c’è stato un aumento dei costi di produzione, e quindi che si spende di più per acquistare lo stesso prodotto. Ma complessivamente è lecito parlare di un trend che va in direzione della bevuta di pregio. «Per quella che è la mia esperienza», dice Mercuri, «noto che in Italia si beve meglio, in questo periodo, perché si beve meno».
Un calo di vendite non preoccupante secondo Maida Mercuri
Non è solamente una questione di prezzi, «gioca un ruolo anche l’attenzione alla salute, così come la maggiore consapevolezza sul fatto di non poter guidare per lunghi tragitti quando siamo stati al ristorante e abbiamo bevuto. Così si tende a non buttarsi su tre bottiglie, bensì a sceglierne una e godersela».
Una tendenza che non sembra gravare sui récoltant manipulant: «Non penso i piccoli produttori possano soffrirne. Per esempio, andando in Champagne a metà novembre, o sotto Natale, a me è capitato che molti non avessero più vino da vendere e stessero aspettando la maturazione del nuovo spumante. Questo mi pare segnalare che non ci siano sofferenze sul lato commerciale». Niente panico, dunque.
Champagne giovani e champagne maturi
E per i consumatori una possibile ragione di contentezza. «Una flessione delle vendite potrebbe portare a champagne che hanno maturato sui lieviti per più tempo. Negli ultimi anni ho notato che la produzione puntava a champagne più freschi, con meno corpo, meno permanenza sui lieviti. Li ho sentiti molto tirati, anche da produttori che cinque, sei, sette anni fa realizzavano vini un po’ più pieni, con più gusto, più interessanti».
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Immagini credits Julie Couder