La pálinka è un distillato tipico dell’Ungheria, dove viene prodotta sin dalla metà del XVIII secolo e dov’è diventata una gloria nazionale.
Pálinka, che cos’è
Urge una premessa. In Europa ci sono prodotti simili alla pálinka. Hanno pure un nome praticamente uguale. In Repubblica Ceca e in Slovacchia abbiamo la pálenka, in Romania la palincă, in Austria la pálinka. Qui parliamo esclusivamente del distillato ungherese, che gode di una denominazione protetta in base alle leggi della Comunità Europea.
Dunque, la pálinka d’Ungheria è un distillato ottenuto da frutta autoctona, coltivata o meno che sia. Lo spettro degli ingredienti di base è piuttosto ampio: prugne, pere, albicocche sono le più frequenti. Ma esistono anche distillati di mele, pesche, ciliegie o frutti di bosco. Se crescono da quelle parti, allora possono essere utilizzati. Caratteristica che distingue la pálinka ungherese dall’omonima austriaca, che si fa solo con le albicocche.
Ulteriori caratteristiche: non sono ammesse aggiunte di zucchero, alcol, aromi o coloranti. La gradazione alcolica dev’essere compresa tra il 37.5% e l’86%. Infine, l’intero processo produttivo, dalla raccolta all’imbottigliamento, deve obbligatoriamente avvenire all’interno del territorio ungherese.
Come si produce
Per prima cosa bisogna selezionare con attenzione la frutta, che dev’essere matura per contenere la quantità di zuccheri necessaria ad avviare la fermentazione. Come già detto, non è infatti concesso il ricorso a zuccheri esterni.
Nel caso siano presenti, i noccioli vengono tolti. Quindi la frutta viene spezzettata per dare inizio alla fermentazione in un ambiente anaerobico e a temperatura stabile. Dopo una dozzina di giorni inizia la distillazione, che può essere continua oppure discontinua. In questo secondo caso in passaggi in alambicco sono minimo due.
Prima dell’imbottigliamento la pálinka deve riposare per almeno tre mesi in contenitori d’acciaio, oppure affinare in botti di legno, o anche maturare a contatto con altra frutta (fresca o secca).
Le tipologie di Pálinka
Le fasi della lavorazione e gli ingredienti di partenza determinano quattro tipologie differenti di pálinka.
C’è la Kisüsti fatta con frutta o vinacce, e almeno due distillazioni in alambicchi di rame con capacità massima di mille litri. L’Érlelt realizzata con frutta o vinacce, e invecchiata almeno tre mesi in botti di massimo mille litri, o almeno sei mesi in botti più capienti. Eventuali blend sono consentiti esclusivamente tra pálinka del medesimo tipo e l’indicazione dell’invecchiamento dev’essere quella del distillato più giovane.
La Ó prodotta con frutta o vinacce, e affinata per almeno un anno in botti di massimo mille litri. O per almeno due anni in botti più grandi. Ed infine, l’Ágyas fatta con frutta e, dopo la distillazione, messa a riposare in infusione con altra frutta. Se la bottiglia riporta il tipo di frutta della pálinka, allora tutta quella utilizzata nelle varie fasi dev’essere la stessa. Se invece è diversa, allora sulla bottiglia leggeremo solamente l’espressione Ágyas.
Oltre a queste tipologie, capita di imbattersi in ulteriori tre categorie. Si parla di Törköly per la pálinka a base di vinacce, Aszú per quella fatta con le vinacce di una particolare regione vinicola ungherese (Tokaj-hegyalja) e infine di Barack per quella fatta esclusivamente con albicocche.
Come si degusta
La norma vuole che i distillati non siano mai consumati ghiacciati. La pálinka non fa eccezione: dev’essere bevuta a temperatura ambiente, perché in questo modo si esprime al meglio. Il consiglio è degustarla con la giusta calma, come aperitivo o anche come digestivo. Da qui la scelta del bicchiere: quello giusto ha il fondo largo e il bordo stretto, una forma che agevola il godimento dei profumi.
Infine, non è frequente trovare la pálinka fra gli ingredienti di un cocktail, ma rappresenta una possibilità interessante quando si è in cerca di note fruttate.