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Dirty Martini

Salamoia e cocktail, quando la sapidità entra in scena

Utilizzare la salamoia nei cocktail significa lavorare di fino: un zic esalta i sapori, una goccia in più li uccide. È meglio non improvvisare. Qui, qualche suggerimento.

Cos’è la salamoia

Nel dizionario della lingua italiana curato da Giacomo Devoto e Gian Carlo Oli, si legge che la salamoia (o muria) è una soluzione concentrata di sale che può servire a conservare sostanze alimentari. Per esempio, le olive tanto care ai Martini.

Esistono molte salamoie

Se alla base della salamoia ci sono acqua e sale, è chiaro che la concentrazione salina può essere la più diversa. Nel classico vasetto delle olive siamo attorno alle 10 parti di sale per litro, ma ogni bartender può decidere di aumentare o diminuire questo rapporto. L’impatto su un drink varierà di conseguenza, e a maggior ragione lo farà se avremo lasciato macerare in salamoia del cibo.

Olive, cipolline e cetriolini sono frequenti, nel mondo dei cocktail. Ma nulla vieta di immergervi altre verdure, per esempio melanzane, peperoni o funghi. E poi zenzero, granelli di pepe, spicchi d’aglio, spezie ed erbe, o anche formaggi e pesce. In quest’ultimi casi si cammina sul filo del rasoio ed è meglio farlo con una buona dose d’esperienza alle spalle. Si segnala in ultimo che alcune fonti autorevoli suggeriscono l’aggiunta di un po’ di zucchero, per stemperare le note più salate.

Il Dirty Martini

Nel mondo dei cocktail la salamoia compare quasi sempre accanto alla parola dirty. Quando cioè viene utilizzata per “sporcare” un drink e dargli un carattere più gagliardo, approfittando del fatto che la sapidità contribuisce a esaltare alcuni sapori.

L’esempio più celebre è quello del Dirty Martini, amato da Franklin Delano Roosevelt e preparato con 60 millilitri di gin, 10 millilitri di vermouth e uno splash di salamoia di olive. La tecnica è quella dello stir & strain e la garnish è un’oliva. C’è anche la versione extra dirty, che raddoppia la quantità di salamoia.

Nel suo The Craft of the Cocktail, Dale DeGroff a un certo punto parla del Dirty Martini e suggerisce l’uso di un tipo particolare di salamoia, che contiene pure vermouth e aceto di alcol. A testimonianza della varietà di questo ingrediente e delle mille attenzioni necessarie durante l’utilizzo. DeGroff avverte inoltre che è bene privilegiarla di recente preparazione: il passare del tempo può infatti darle un sapore sgradevole.

Gli altri cocktail con la salamoia

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La fama del Dirty Martini non si spiega solamente con l’autorevolezza di Roosevelt. Di fatto il Martini, nelle sue molteplici variazioni, è il cocktail che meglio dialoga con la sapidità. E questo vale anche quando il gin è sostituito con la vodka.

La salamoia alle cipolline è per esempio indicata per il Dirty Gibson, cioè un Martini standard (6 parti di gin, 1 parte di vermouth) decorato con una cipollina e sporcato con la salamoia. Quella di olive aromatizzata al limone si sposa bene con un Dirty Vesper: dunque 45 millilitri di gin, 15 di vodka, 7,5 di aperitivo francese, più la sporcatura. E via dicendo.

Non mancano altri esperimenti sui grandi classici della mixology. Per esempio, nel Dirty Manhattan, Dirty Daiquiri e Dirty Old Fashioned. A voi la scelta.