Lo Scofflaw cocktail è l’imperatore della beffa goliardica. Ha avuto il suo periodo d’oro durante il Proibizionismo e la sua nascita è un atto di ribellione e di scherno nei confronti di coloro che sostenevano l’astemia. Intanto, perché parecchio alcolico. In secondo luogo per via delle circostanze che l’hanno visto germogliare.
Lo Scofflaw cocktail nasce durante il Proibizionismo
Fra il 1920 e il 1933 il governo degli Stati Uniti vietò la fabbricazione, vendita, importazione e trasporto di alcol. Fu il risultato di pressioni portate avanti da gruppi religiosi e politici, caratterizzati da posizioni super tradizionaliste e dogmatiche. Fra gli esponenti di questo variegato panorama c’era anche Delcevare King, di professione banchiere.
Nel tardo 1923 King decise che bisognava fare qualcosa per stigmatizzare coloro che, nonostante tutto, continuano a consumare alcolici. Evidentemente gli avevano detto che il Proibizionismo aveva prodotto la nascita di numerosi locali clandestini e questa cosa lo indispettiva parecchio. Così lanciò un concorso, chiedendo ai bravi e morigerati cittadini di aiutarlo a coniare un termine dispregiativo con il quale riferirsi ai bevitori.
Un concorso molto particolare
Il 15 gennaio 1924 il quotidiano Chicago Tribune riportò che Delcevare King aveva chiesto di “risvegliare le coscienze” trovando il giusto “epiteto per meglio esprimere l’idea di un bevitore illegale, cattivo cittadino, impudente e pericoloso“. La parola doveva “avere una forza mordace simile a quella che hanno locuzioni come crosta o fannullone“. In palio c’era l’equivalente di 200 dollari in oro.
I vincitori furono due: l’austera signora Kate L. Butler e il distinto signor Henry Irving Shaw. Ricevettero centro dollari a testa per essersi inventati “scofflaw“, forse ad “scoffer” (derisore) e “law” (legge) – nel linguaggio colloquiale, “to scoff” significa anche rubare, sgraffignare, fregare.
La grande beffa
Meno di una settimana più tardi il Chicago Tribune, sempre lui, raccontò che i bartender del Maxim’s di Parigi avevano inventato un nuovo cocktail e l’avevano battezzato Scofflaw. Ricetta: tre parti di rye whiskey, due parti di vermouth francese, un dash di succo di limone e un dash di granatina.
Una manciata di giorni dopo anche Harry MacElhone rivendicò la paternità del drink, e nel suo ABC of Mixing Cocktails ne fornì la propria versione: 1/3 di Canadian Club (tra le altre cose, il whisky contrabbandato di Al Capone durante il Proibizionismo), poi 1/3 di vermouth dry, 1/6 di succo di limone, 1/6 di granatina e un dash di orange bitter.
Al di là delle differenze, lo Scofflaw cocktail attraversò d’un balzo l’oceano e diventò un prezzemolino delle serate illegali negli speakeasy: la parola nata per biasimare i bevitori utilizzata per ordinare un cocktail. Ed è facile immaginare che la fortuna di questo drink fosse dovuta anche al gusto di schernire l’iniziativa del povero Delcevare King.
La beffa nella beffa dello Scofflaw Cocktail
Con la fine del Proibizionismo lo Scofflaw cadde lentamente in disuso, ma il destino ha voluto giocare un ulteriore scherzo a King. Nel suo necrologio, pubblicato sul New York Times il 22 marzo 1964, si legge che questo termine “ha perduto gran parte del suo significato originale e oggi è utilizzato soprattutto per definire coloro che non pagano il biglietto del parcheggio“.
La ricetta dello Scofflaw cocktail
Sin dall’inizio la ricetta non è univoca, e nel corso degli anni ha subito modifiche. Dunque non è facile stabilirne una valida al cento percento.
Un buon compromesso prevede di mettere nello shaker sei parti di bourbon, altrettante di vermouth dry, due parti di succo di limone, una parte di granatina e un paio di gocce di orange bitter.
Agitare e poi filtrare in una coppa precedentemente raffreddata. La guarnizione non è obbligatoria, ma una scorzetta di limone è la morte sua.