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Stephanie Jordan-Balmforth, bilanci di Sostenibilità

Articolo di Andrea Strafile

Oggi si fa un gran parlare di sostenibilità nel mondo del bar. Le più importanti cocktail competition globali la inseriscono come tema principale: i bar, le bartender e i bartender cercano di applicarla in ogni modo possibile, dallo zero waste all’utilizzo di frutta di stagione. Ma capire la sostenibilità, quella vera, totale, è un’altra questione. Una questione non troppo affrontata e su cui ancora si va con i piedi di piombo, per via di un sistema in cui non è mai stata davvero parte fondamentale.

Stephanie Jordan-Balmforth e la sua missione sostenibile

La domanda quindi è: sarebbe possibile creare un circolo sostenibile in un mondo che, a differenza della cucina, si sostiene per forza di cose su produzioni in larga scala? Stephanie Jordan-Balmforth, co-fondatrice della società di consulenze Drink Out Loud e del calvados Avallen è entrata in questo mare complicato e molto più burrascoso di quanto ci si immagini, per raccontarlo.

Stephanie, la cui carriera quindicennale l’ha portata a ricoprire ruoli di primo livello nel mondo degli spirits, ha una missione: parlare a parole e fatti di sostenibilità nel mondo del bar in maniera diversa, completa, circolare e intransigente. Cosa che fa con il suo calvados ma, forse ancora più importante, facendo da ponte tra aziende e bar con la sua società di consulenze. Vedremo perché.

Per avere prodotti di qualità bisogna rispettare l’ambiente

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Il calvados prodotto da Stephanie Jordan-Balmforth

«In questo mondo ci sono praticamente nata», racconta Jordan-Balmforth. «Mia madre si occupava di vino e mio padre di whiskey. Da piccola ho vissuto buona parte della vita nelle zone del Beaujolais, circondata da vigneti e terra e quando in pratica vivi circondata dal vino, ti rendi conto che per fare un buon prodotto devi avere certi requisiti, devi rispettare l’ambiente».

Poderosa macchina da marketing, Stephanie Jordan- Balmforth si è fatta conoscere quando ha tenuto il portfolio reserve di Diageo, prima in Spagna e poi nella zona dell’Oceano Indiano, quando ha ricoperto il ruolo di global brand ambassador di Tanqueray e anche nel suo successivo ingresso a La Hachichera come global advocacy. In parole povere, è uno di quei personaggi chiave della industry, ha visto di tutto e sa di cosa parla.

Stephanie Jordan-Balmforth, porsi le domande giuste

«Fin da quando lavoravo per altre aziende, la domanda che mi sorgeva spontanea in una distilleria era: da dove viene il malto con cui fate il whisky? Mi sono fatta l’idea che per un discorso di sostenibilità, non si possa prescindere da quello di circolarità», racconta.

«Perciò, quando abbiamo deciso di fare un calvados ci siamo chiesti da dove partire. La risposta è semplice: bisogna partire dall’inizio, cioè dalla materia. I brand devono porsi in continuazione domande sui problemi che esistono per risolverli. Non solo quale sia l’alcol migliore, ma per esempio: se faccio alcol di frutta come mele o uva non è meglio che usare quello di grano calcolando che la fermentazione della frutta avviene schiacciando la polpa e quindi richiede molta meno acqua? E ancora, avete mai pensato che la frutta cade dagli alberi mentre il grano va tagliato con delle macchine che inquinano?».

Scelte consapevoli durante tutta la filiera

Questo discorso, cioè andare al vero nocciolo della questione senza mezzi termini, copre tanto la produzione effettiva quanto tutta la filiera. «Le fasi successive della distribuzione sono anche più inquinanti. Bisogna prediligere l’imbottigliamento nel paese di destinazione, invece che spedire migliaia di bottiglie di vetro. Si può fare proprio a meno del vetro, volendo. Noi per esempio abbiamo delle bottiglie di cartone, ma anche l’alluminio è una valida alternativa, che tra l’altro non si rompe nel trasporto».

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